Se Atene lascia l'euro, sarà una tragedia greca
Se Tsipras insistesse ancora a non obbedire alle condizioni dettate dai suoi creditori, la Grecia potrebbe anche abbandonare l'euro, come minaccia da anni. Per l'Ue sarebbe un brutto colpo, per la perdita di credibilità dell'eurozona. Ma sarebbe una tragedia per i greci, soprattutto quelli più poveri. Il Pil potrebbe addirittura dimezzarsi e la svalutazione arrivare al 60%.
In questi giorni non si fa altro che parlare, sulla stampa, della crisi greca. Il motivo è il continuo fallimento dei negoziati fra l'Unione europea e il governo di Alexis Tsipras, che non intende accettare le richieste di "austerity" fatte da Bruxelles in cambio del rifinanziamento del debito pubblico greco. In altre parole l'Unione europea chiede ad Atene di ridurre e modificare la propria spesa pubblica e, in cambio, garantisce un nuovo prestito che consenta di continuare a pagare gli interessi sul debito, oltre a stipendi pubblici e pensioni, evitando così il default.
Come sempre accade la tensione fra eurocrati e politici greci solletica gli animi dei commentatori, che si dividono fra difensori del rigore (ben pochi) e fan dell'autonomia dei popoli e dei governi. Una guerra ideale e ideologica, che rischia di lasciare sullo sfondo la questione fondamentale. Quando si parla di crisi greca bisogna tener conto del fatto che non si tratta di una crisi ciclica, ma strutturale: una crisi del debito pubblico, accumulato dallo Stato greco nel corso degli ultimi dieci anni, fino a diventare non più sostenibile. È un dato oggettivo: come riportano le statistiche il debito pubblico greco è infatti passato dal 100% del Pil del 2006 al 112,9% del 2009 per poi proseguire la sua corsa negli anni successivi. Dal 129,7% nel 2010, è passato al 146% del 2011, fino al 171,3% del 2012 (dati Tradingeconomics) per poi fluttuare attorno a quella cifra: oggi si posiziona attorno al 177%, contro una media dell'area euro del 92%. Una cifra enorme, pari a circa 330 miliardi di euro detenuti, per la gran parte, dai governi europei di area euro. Si tratta, per la precisione, di quasi 200 miliardi (il 62%) direttamente nelle mani dei governi (la Germania più di 60, la Francia 47, l'Italia oltre 40), più un altro 8% in capo alla Bce, per un totale del 70% del debito totale greco. Una quota talmente grande da consentire all'Unione europea di imporre riforme alla Grecia, in cambio del proprio aiuto. Al di là di come la si pensa sul dibattito, qui c'è di mezzo un criterio di equità: non si capisce perché Paesi con un debito inferiore dovrebbero fare "sacrifici" (come il rispetto del 3% del rapporto deficit/Pil) mentre la Grecia dovrebbe essere esonerata nonostante si trovi in una situazione ben peggiore.
Detto questo passiamo a ipotizzare cosa accadrebbe se la Grecia uscisse davvero dall'euro. La risposta non è semplice (l'economia e ancor più la finanza non rispondono sempre a leggi precise), ma ci pare di poter escludere un danno di proporzioni epiche per la stabilità dell'euro. Certo, i tre principali Stati creditori sopra citati perderebbero decine di miliardi, ma la cifra non sarebbe sufficiente a portarli a loro volta a fallire. Tanto più che, allo stato attuale, la Grecia non avrebbe mai comunque avuto i soldi necessari a rimborsare i propri debiti. A dirla tutta, analizzando la questione da un punto di vista cinico, per l'Europa il default della Grecia e la successiva uscita dall'euro potrebbe costituire perfino un beneficio economico visto che l'euro area non avrebbe più un malato cronico sulle spalle. Non vogliamo offendere nessuno: che la Grecia sia, ad oggi, un malato grave è a dir poco palese.
I creditori si libererebbero di un peso sempre meno sostenibile, mentre per la Grecia potrebbe essere una vera e propria Waterloo economica. Secondo un rapporto di Ubs che vale la pena ricordare l'uscita dall'euro comporterebbe un calo del Pil del 45% e una svalutazione del 60%: cifre da capogiro, che distruggerebbero del tutto la già precaria economia greca. Inoltre la perdita delle garanzie internazionali costringerebbe Atene a finanziarsi interamente sul mercato a tassi di interesse molto più alti di quelli attuali: ad oggi grazie ai tassi di favore sui prestiti governativi la Grecia paga un interesse composito di appena il 2,4%, mentre sui decennali sul mercato l'interesse sfiora l'11,5%, cifra che potrebbe aumentare viste le minori garanzie.
Inoltre l'esperienza argentina insegna che, dopo un default, è molto difficile piazzare con successo i propri titoli sul mercato: gli investitori hanno infatti così poca fiducia nel debitore che evitano di investire i loro soldi anche a fronte di tassi di interesse esorbitanti. Le aste dei bond rischiano di andare così deserte facendo ritrovare lo Stato di nuovo senza liquidità: per questo un default apre spesso la strada a un altro fallimento.
A conti fatti l'uscita dall'euro potrebbe essere a livello puramente economico un dramma più per la Grecia che per l'Ue. Nella sua intransigenza Tsipras conta però sul fatto che, per ragioni politiche, l'Ue non possa permettersi di rischiare: l'uscita della Grecia sarebbe infatti un duro colpo per la credibilità europea e della sua moneta unica, con probabili ripercussioni economiche, soprattutto per quanto riguarda l'andamento borsistico. Il 5 giugno scorso, ad esempio, l'"effetto Grecia" ha fatto perdere alla Borsa di Atene il 3,11% ma anche Parigi ha segnato un -1,03%, Francoforte un -0,92% e Milano il -0,64%. Nulla di drammatico, per carità, ma un brutto avvertimento per una possibile uscita della Grecia dall'euro.
Nel suo pervicace rifiuto dei negoziati, Tsipras è sostenuto da questi dati. Del resto non ha molte alternative: l'accettazione di una pur minima austerity gli inimicherebbe non solo l'elettorato ma gli stessi deputati, minandone la leadership. Quel che i greci dovrebbero capire, però, è che senza un minimo di riforme la Grecia è tecnicamente già fallita. L'alternativa è sussidiarla per sempre, ma questa scelta, a Bruxelles, comprensibilmente, pare piacere sempre meno.