Se anche le trivelle sono una priorità per la Chiesa
Un nuovo integralismo avanza: dimenticate le battaglie su famiglia e vita, oggi la nuova priorità è fermare le trivellazioni in mare per estrarre gas. È la linea dettata dalla segreteria della Conferenza episcopale, poi "mitigata" dal Consiglio permanente: di trivellazioni è obbligatorio "solo" discuterne in tutte le chiese.
Era appena ieri che in un editoriale firmato da Robi Ronza, prendendo spunto dalla prolusione del cardinale Angelo Bagnasco al Consiglio Permanente della CEI si auspicava una forte iniziativa dei vescovi italiani a favore della famiglia. Come non detto. Ieri, il comunicato finale dei lavori della CEI ha spiegato molto bene che dal punto di vista sociale, le priorità dei vescovi italiani sono altre: i migranti e le trivelle. Di famiglia e inverno demografico, ci informa il comunicato, si è parlato nel corso del Consiglio permanente e monsignor Nunzio Galantino, segretario della CEI, nella conferenza stampa di ieri ha riferito di un invito al governo italiano a occuparsi della famiglia, ma ormai sa un po’ di qualcosa di rituale, qualcosa che si deve dire per obbligo di ufficio. Ma i veri interessi sono altri.
Per quanto riguarda gli immigrati – a cui è dedicato il capitolo più ampio del Comunicato finale – c’è un reale coinvolgimento della Chiesa italiana e non certo da oggi. Ventimila persone sono accolte nelle strutture ecclesiali italiane – afferma la CEI -, un quinto dell’intero sistema di accoglienza in Italia e si tratta di un impegno che punta all’integrazione. I vescovi mettono anche in rilievo un problema abbondantemente sottovalutato, quello dei minori non accompagnati. Detto questo, però, la posizione della Chiesa italiana sembra giocarsi sempre all’interno di uno schema fin troppo semplicistico: muri contro accoglienza. Da cui l’ovvia conclusione: non dobbiamo costruire muri ma proporre percorsi di integrazione. E guai alla «selezione per nazionalità» ventilata da qualcuno.
La realtà però, come abbiamo spiegato molte volte, è decisamente più complessa e non si risolve con facili schematismi. Proprio oggi pubblichiamo un articolo che dà conto delle previsioni degli sbarchi in Italia previsti per quest’anno: 450mila persone, e stiamo parlando di immigrazione irregolare. La stragrande maggioranza di queste persone in base al diritto internazionale non ha diritto allo status di rifugiato, non fugge da guerre o persecuzioni. Ovviamente fugge da situazioni difficili, talmente difficili da affrontare viaggi rischiosissimi, ma in queste situazioni in Africa ci sono purtroppo centinaia di milioni di persone.
Quando parliamo di porte aperte a tutti, nessuna selezione, nessun filtro, solo processi di integrazione, è questi numeri che dovremmo avere in mente. Significa porre le basi per il caos prossimo venturo, non solo in Europa. Perché alla fine a scappare dai propri paesi sono i più giovani e quelli che se lo possono permettere, essendo che i passaggi per l’Europa sono ben costosi: vale a dire fuggono le forze che sono la principale speranza di sviluppo per l’Africa. E questo senza neanche contare che incentivare l’immigrazione irregolare e selvaggia equivale a ingrassare la criminalità organizzata e il terrorismo fondamentalista, che di questi traffici si nutrono.
Se sul tema delle migrazioni si può parlare di veduta parziale, sul fronte trivelle si raggiungono toni surreali.
In riferimento al referendum fissato per il 17 aprile, circa il rinnovo (o meno) delle concessioni per una ventina di piattaforme marine già esistenti, ieri mattina un editoriale di Avvenire aveva già schierato la Chiesa italiana con i “no triv”, facendo discendere questa posizione direttamente dall’enciclica Laudato si’ e dall’esortazione apostolica di papa Francesco Evangelii Gaudium: «La difesa di 'nostra matre Terra' è tutt'uno con la condanna dell'economia che 'uccide' della Evangelii gaudium», dice Avvenire.
Ora, tenendo conto della realtà effettiva delle trivellazioni in mare e il quesito referendario posto agli italiani (cosa che abbiamo spiegato in questo articolo) siamo davanti a un insulto al buon senso. Far discendere dal dovere di custodire il creato l’obbligo immediato di rinunciare al gas come fonte energetica è la forma peggiore di integralismo. Guarda caso, coloro che rifiutano anche la sola idea che vita, famiglia e libertà di educazione possano essere definiti princìpi non negoziabili, poi diventano assolutamente intransigenti in materie decisamente opinabili.
Si “dialoga” sulle unioni civili, non si deve giudicare sull’eutanasia (vedi questo incredibile servizio dell’agenzia Sir, stessa proprietà di Avvenire), ma guai a chi è a favore delle trivellazioni per garantire almeno un po’ di gas (e anche posti di lavoro). Nella solita conferenza stampa, Galantino ha chiaramente lasciato intendere di condividere la posizione di Avvenire (e non sorprende visto che è lui a dettare la linea), ma ha dovuto spiegare un comunicato della CEI decisamente più prudente: segno che nel Consiglio permanente c’è stato qualche vescovo che ha imposto almeno un minimo di buon senso. Il dovere che discende dall’enciclica papale infatti, spiega il comunicato, si limita (e comunque non è poco) al dibattere del tema trivelle in tutte le comunità. Ed è solo l’inizio, ha aggiunto Galantino, perché «domani ci sarà il problema del nucleare e poi altri ancora». C’è il fondato rischio che prossimamente chi entrerà in parrocchia penserà di essere capitato nella sede di Legambiente.
Comunque, visto che sul nucleare c’è già stato un referendum recente e che quindi l’Italia per molti anni non ne parlerà più, suggeriamo un altro tema di estrema attualità: l’inefficienza di quell’energia solare a cui – stando ai nostri vescovi - dovremmo convertirci rapidamente chiudendo i rubinetti del gas e del petrolio. È di questi giorni infatti la notizia che due mega-progetti mondiali di energia solare, in Spagna e in California, malgrado ingenti sussidi statali stanno andando in bancarotta.