Se anche la Cei fa appello ai girotondi degli "onesti"
Monsignor Angelo Bagnasco, presidente della Cei, invita «il popolo degli onesti” a protestare contro il “male esempio che pare diventato un regime». Il capo dei vescovi si riferisce all'inchiesta sugli appalti delle grandi opere pubbliche. Appello che non si distingue molto da quelli interessati di alcune forze politiche.
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«Il popolo degli onesti deve assolutamente reagire senza deprimersi, continuando a fare con onestà e competenza il proprio lavoro, ma anche protestando nei modi corretti contro questo "mal esempio" che sembra essere un regime». Domanda: chi ha pronunciato il severo monito contro il “mal esempio” della corruzione, dopo la raffica di arresti ordinati dalla Procura di Firenze? Facile: l’arrabbiatissimo Beppe Grillo o forse anche Antonio di Pietro, l’ex poliziotto diventato pm, in seguito politico e infine contadino. Restituendo così il maltolto e il torto fatti a suo tempo all’agricoltura. No, nessuno dei due. Ci siamo: l’accorato appello al popolo degli onesti porta la firma di Marco Travaglio, condirettore manettaro del Fatto Quotidiano, il giornale delle Procure italiane, quello che metterebbe in galera tutta la classe politica, tranne un paio di suoi amici. No, non è lui l’autore, anche se, pure lui, sottoscriverebbe volentieri quell’invito a reagire contro questo regime di corrotti e corruttori. Basta con gli indovinelli. La dichiarazione del “popolo degli onesti” porta la firma di monsignor Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, la Conferenza dei vescovi italiani.
«Purtroppo», insiste sua eminenza dopo aver sbirciato sui Palazzi romani, «lo spettacolo è deprimente e sembra crescere. Spero che la gente, la gente semplice non si lasci deprimere o scoraggiare dai cattivi esempi che vengono da tante parti, soprattutto da chi ha maggiori responsabilità nella cosa pubblica». Monsignore non dice affatto che cosa dovrebbe in concreto fare la “ggente” semplice, quella della mitica società civile innocente a prescindere e sempre vittima del male altrui: forse prendere i forconi leghisti (già fatto), rispolverare i girotondi ai Palazzi di Giustizia sotto la guida di Flores d’Arcais e vipponi giustizialisti, o unirsi magari al coro dei Vaffa dei grilli sparlanti e urlanti? A dare manforte al presidente arriva il segretario, monsignor Nunzio Galantino, che rivela scandalizzato: «Tangentopoli non è finita: dopo Tangentopoli c’è stata Mafia capitale, ora si inventeranno un nuovo nome ma non ci muoveremo di un millimetro perché non c’è conversione, perché c’è gente che non vuole abbandonare la voglia di lucrare alle spese degli altri». «Io ho l’impressione», dice ancora Galantino, «che finché c’è gente che parla di una morale di destra o di una morale di sinistra e invece non fa propria la convinzione che esistono le leggi ma anche uomini che debbono applicarle non si esce dalla situazione attuale».
É buono e giusto, le leggi vanno applicate e ci mancherebbe. Eppure, anche quando i giudici le applicano, la Cei non pare essere troppo contenta. Solo qualche giorno fa, monsignore segretario commentava in modo po’ apocalittico, la sentenza della Cassazione che assolveva Silvio Berlusconi dalle accuse di sfruttamento della prostituzione minorile. Giustizia ha trionfato? Macchè. Quella sentenza estingueva il reato, ma non il peccato. Come dire: non pensi l’ex Cavaliere che sia finita così: al momento buono, dovrà rispondere alle domande della Giustizia divina.Ok, pure questo non fa una piega, ma la distinzione tra reato e peccato, almeno in Italia, è cosa collaudata da secoli e non si capisce perché il segretario dei vescovi italiani ora voglia ripristinare la dangereuse liason. A meno che, dopo i tre gradi di giudizio, non si voglia introdurre anche il doppio processo: civile e canonico prima dell’assoluzione definitiva.
Si scherza, ma la questione è seria: valeva la pena che si scomodasse la Cei a ribadire opinioni che giornali, leader politici, agricoltori ex pm e commentatori della sinistra militante già ripetono tutti i giorni? È questo il messaggio morale che la Chiesa lancia al Paese smarrito e sconsolato per il dilagare del malaffare e della corruzione? Se la risposta è sì, allora qualcuno dovrebbe spiegare la differenza Cei e Associazione nazionale magistrati che accusa lo Stato di «schiaffeggiare i giudici» e «accarezzare i corrotti». «Chi ha responsabilità della cosa pubblica deve dare il buon esempio per difendere la cultura della legalità». Chi ha copiato da chi? Siamo messi davvero male se perfino Corrado Augias su Repubblica si sente in dovere di applaudire l’intervento anti Cavaliere con queste parole: «Ora le gerarchie cattoliche hanno finalmente preso le distanze dalla sua (di Berlusconi) doppia morale del potere». E dopo l’elogio, il rimprovero: «Se le avessero prese quando l’uomo era nel pieno del suo potere e delle sue facoltà e si permetteva perfino qualche bestemmia per strappare una risata, sarebbe stato meglio». Laicissimo liscio e busso da uno che non si è tirato indietro quando c’era da spargere indignazione sul presunto super attico da 750 metri quadri assegnati all’ex segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone. Ma se il repubblichino Augias si permette questo, forse è il caso di chiedersi, care eccellenze, se non gli state prestando un po’ troppo il fianco.
É vero, Tangentopoli non è finita, corruzione e malversazione non sono stati sconfitte. Ma, soprattutto, persiste un giustizialismo moralista e indecente utilizzato dalla magistratura per intimidire i partiti e condizionare i governi in un infernale corto circuito con i media. Inchieste raffica (spesso finiscono in nulla), avvisi di garanzia, intercettazioni e processi celebrati su giornali e tv. Una ghigliottina giudiziaria e mediatica permanente, sempre in nome del “Popolo degli onesti”. Che sorpresa ritrovare questa stessa espressione nelle parole dei vertici della Chiesa. É tutto qui quello che avete da dire a noi poveri uomini di fede, onesti, certo ma che non per questo così perfetto da sentirci autorizzati a dare l’assalto dei Palazzi del governo? Gesù prese la frusta e rovesciò le bancarelle dei mercanti nel Tempio, però non incitò nessuno a fare altrettanto. Solo Barabba, lo zelota, ebbe la presunzione di farlo. Ma poi sappiamo com’è finita.