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SOCIALDELUSIONI

Se anche gli "amici" di Facebook ti tradiscono

Una ricerca compiuta dall’Osservatorio News-Italia dell’Università di Urbino, presentata al Festival del giornalismo culturale, fa il punto sui media italiani e dice quel che ormai tutti sanno: il crollo della carta stampata. Il dato più curioso internet, tra le cui fonti campeggia Facebook con un fragoroso 28%.

Cultura 27_04_2015
Il logo di Facebook

Dal 23 al 26 aprile si è svolto tra Urbino e Fano il Festival del giornalismo culturale. Nel corso di esso è stata presentata una ricerca compiuta dall’Osservatorio News-Italia dell’Università di Urbino. La ricerca ha fatto stato della situazione dei media italiani e ha evidenziato quel che ormai tutti sanno: il crollo della carta stampata. 

Le cause sono note e vanno dalla crisi economica (le imprese investono meno in pubblicità) a quella demografica (meno gente, meno lettori), passando per l’invecchiamento della popolazione (i pensionati hanno pochi soldi, i giovani si informano su internet ma vogliono farlo gratis) e la concorrenza delle tivù (che danno le notizie il giorno prima dei giornali). Il dato più curioso della ricerca suddetta riguarda internet, tra le cui fonti campeggia Facebook con un fragoroso 28%. Questo vuol dire che si preferisce affidarsi agli “amici” che ai professionisti dell’informazione, cioè giornalisti, politologi, opinionisti, editorialisti eccetera. Osserva Luigi Mascheroni (giornalista culturale) che «tendiamo ad ascoltare non chi ha maggiori strumenti per darci un’informazione corretta, ma chi la pensa come noi». Resta, tuttavia, la domanda: come si forma l’opinione di chi la pensa come noi? E come si è formata la nostra? 

Se andiamo a guardare quelli che di “amici” facebookkisti ne hanno legioni, come i Vip dello spettacolo, vediamo che le cose sono un po’ più complicate. Per esempio, il famoso cantante di swing Michael Bublé ha recentemente postato sulla sua “pagina” il lato B di una ragazza in pantaloncini succinti e lo ha commentato in modo innocente e spiritoso. É stato subissato come sessista e quanto di peggio, così che ha dovuto togliere di corsa la foto e scusarsi fantozzianamente. Insomma, neanche la cerchia di “amici” è sicura e “quelli che la pensano come noi” forse dobbiamo incontrarli per un pissi-pissi nelle catacombe. Tuttavia, uno senza opinioni non esiste, anche se se le tiene ben strette per scansare guai. 

È andata a finire che, dopo tante rivoluzioni e morti ammazzati, la libertà di espressione è appannaggio di pochissimi. E spesso neanche si sa chi siano, quelli che fabbricano le opinioni ufficiali da tenersi da parte del popolo. Sì, perché prima dell’opinione c’è l’informazione: non si possono avere opinioni su quel che non si conosce. Perciò la palla torna ai “professionisti”; meglio, a chi li tiene sul libro-paga. Questi, di fatto, “orientano”, perché scelgono quali informazioni privilegiare, quali enfatizzare, quali minimizzare o magari tacere. Tanto, come proclama il relativismo imperante, la verità non esiste, esistono solo le opinioni. Ma abbiamo visto che le opinioni mainstream sono prefabbricate ad usum gregis. Anche da questo Gesù ci aveva messo in guardia quando, in tempi non sospetti, disse: se diventate miei discepoli conoscerete la verità e la verità vi farà liberi. Pilato, da buon relativista, fece spallucce: «Bah, è che cos’è la verità?». Scartato il Dio dei Cieli, rimane quello della terra, la politica. Il che ci riporta al nostro tema iniziale. 

Secondo una classifica comparsa lo scorso anno sulla rivista dell’Ordine nazionale dei giornalisti, tra i 20 quotidiani più venduti al mondo i primi 3 sono giapponesi. Nella lista sono giapponesi anche il 6°, il 9° e il 20°. Il 4° posto spetta all’India con The Times of India. Uno si aspetterebbe, a questo punto, che l’inglese The Times, l’originale, sia in classifica. Invece non c’è. La Gran Bretagna è presente all’11° posto con The Sun, il quotidiano famoso per le foto di donne in topless, e al 14° col Daily Mail. Gli Usa compaiono una sola volta (12°) col Wall Street Journal, così come la Germania (7°) col Bild Zeitung. Nella classifica (in cui c’è perfino la Corea del Sud) l’Italia è completamente assente. I restanti tutti quotidiani indiani e cinesi. Si dirà che la maggioranza di indiani e cinesi non può permettersi il computer. Ma allora come mai l’informatizzatissimo Giappone totalizza 28,5 milioni di copie vendute su 126,5 milioni di abitanti? Per un paragone, in Italia, su 60 milioni di abitanti i quotidiani venduti sono solo 4 milioni. E la loro picchiata continua: secondo Mediobanca, i maggiori giornali italiani negli ultimi cinque anni hanno perso 1,8 miliardi di euro. 

Perché, dunque, i loro editori insistono a finanziare aziende in costante perdita? Perché il gioco vale la candela. Controllare l’informazione significa poter orientare l’opinione pubblica, dalla quale dipende la politica. Direte: vabbe’, mi butto sugli “amici” di Facebook, che almeno la pensano come me. Sì, ma provate a digitarci sopra la parola “zingaro”…