Se al Battesimo il vescovo chiede il certificato antimafia
A Reggio Calabria il vescovo, Giuseppe Fiorini Morosini, propone di abolire i “padrini” a battesimi e cresime «per ostacolare l'uso strumentale della Chiesa da parte della 'ndrangheta». Ma davvero è questa la Chiesa della misericordia?
Eminenze reverendissime, cari monsignori e benedetti sacerdoti, e pure voi, preziosissimi diaconi: permettete una domanda? Perché su certe questioni, come ad esempio, le indagini su mafiosi e ‘nadranghetisti non lasciate fare alla polizia, ai carabinieri, ai vigilantes o alle guardie giurate? Perché continuate a mescolare sacro e profano, a scambiare Dio con Cesare, a confondere la Confessione con un interrogatorio di garanzia? Con tutto il rispetto, non pensate forse che la Chiesa di cui siete ministri, più che un circolo di anime pure e immacolate, sia stata inventata da Nostro Signore per disgraziati di ogni risma in cerca di conforto e misericordia? Una casa senza porte e casseforti, un luogo dove non ci sono nerboruti buttafuori all’ingresso e dove, se non metti la freccia, non ti chiedono subito patente e libretto. Insomma, una cuccia semplice e allegra per i peccatori. Tutti, mafiosi e camorristi compresi. Va bene, la domanda è un tantino sfacciata e alquanto retorica, ma una risposta ci vuole perché la faccenda comincia ad essere davvero ingarbugliata. Di che parliamo? Di questo.
A Reggio Calabria il vescovo, Giuseppe Fiorini Morosini, propone di abolire i “padrini” a battesimi e cresime "per ostacolare l'uso strumentale della Chiesa da parte della 'ndrangheta". Sua eminenza non è il solo a minacciare la scomunica ai clan criminali: altri prelati e sacerdoti lo hanno preceduto in questa inedita crociata antimafia. Fanno certamente cosa buona giusta, e poi l’esempio vien dall’alto. Da Papa Francesco e dalla sua condanna pronunciata durante la messa celebrata qualche settimana fa nella piana di Sibari: «Coloro che nella loro vita hanno scelto questa strada di male, i mafiosi, non sono in comunione con Dio». Un discorso “agli assenti” che merita di essere riletto, molto diverso da quello che giornali e tv rilanciarono poi nel un sintetico: “Il Papa scomunica i mafiosi”. Così disse Francesco: «Convertitevi, c'è tempo per non finire nell'inferno, che è quello che vi aspetta se non cambiate strada. Per favore cambiate vita! Convertitevi, fermate di fare il male! Noi preghiamo per voi: convertitevi ve lo chiedo in ginocchio è per il vostro bene. Questa vita che vivete non vi darà felicità, gioia. Potere e denaro che avete ricavato da tanti affari sporchi, dai crimini mafiosi sono denaro insanguinato, potere insanguinato e non potrete portarlo nell'altra vita».
Parole simili a quelle urlate nel maggio 1993, dopo le stragi Falcone e Borsellino, da Giovanni Paolo II, in un incendiato messaggio agli uomini di mafia nella Valle dei Templi: «Convertitevi perché un giorno verrà il giudizio di Dio». La mafia non solo non si convertì, ma rispose con le armi. Piazzò una bomba nella chiesa del Velabro a Roma e assassinò due preti: don Pino Puglisi, che a Brancaccio sfidava i boss nel loro stesso territorio, e don Giuseppe Diana in Campania. Ecco, l’insegnamento dei Pontefici è chiaro e limpido, un po’ meno quello dei suoi pastori. Per fermare «l’uso strumentale della ‘ndrangheta» c’è davvero bisogno, come chiede il vescovo di Reggio Calabria, di mettere all’indice padrini e madrine di neonati e cresimandi? Monsignor Morosini pare non avere dubbi ed è deciso ad andare fino in fondo. Ha scritto una lettera a Bergoglio per ottenere la sospensione del padrinaggio «a tempo determinato e per territorio, valida solo per la diocesi calabrese». insomma, chiede il prelato, una legge ecclesiale speciale, a imitazione di quelle di emergenza emanate dal ministro dell’Interno contro il terrorismo e la criminalità organizzata.
Mah, per fortuna Francesco non è Alfano, se no potremmo anche arrivare allo scioglimento da parte del Vaticano di qualche diocesi o parrocchia in odore di mafia. Così fa (o dovrebbe fare) lo Stato, così agiscono polizia, carabinieri e magistratura; e ci mancherebbe (a volte però manca). Perché mafia, ‘ndrangheta e camorra non sono certo un’invenzione del vescovo, ma una piovra criminale, violenta e sanguinaria che tiene sotto occupazione intere regioni, e non solo al Sud. E per i clan ogni occasione è buona per rinsaldare e intrecciare amicizie di sangue. Anche le cerimonie religiose e i sacri riti. Fino a qualche tempo fa, in alcune zone dell'Aspromonte, il padrino prescelto, nel giorno del battesimo, baciava il neonato e collocava nella culla un coltello. Se il piccolo girava il capo verso la lama voleva dire che prometteva bene, se si voltava dall'altra parte si sarebbe portato addosso per sempre il marchio di "sbirro".
Ecco, messa così e tenuto conto dell’assedio che subiscono comunità e parrocchie calabresi, la proposta del vescovo di Reggio, non suona affatto strana. Eppure la domanda resta ancora senza una risposta convincente: può fare questo la Chiesa? Le è lecito, per non venire strumentalizzata e contaminata, vietare preventivamente a tutti i bambini calabresi di avere al loro fianco padri e madri garanti della loro educazione cristiana? Il padrinaggio nell’amministrazione di questi sacramenti non è soltanto una tradizione, ma conserva un preciso significato religioso. Dovere del sacerdote è vigilare perché il compito affidato a questi testimoni della fede venga realmente accettato ed esercitato. Ma cancellarlo perché minacciato da “infiltrazioni” mafiose, pare davvero eccessivo e poco evangelico. Ai criminali si può certo sbarrare le porte della chiesa, ma non prima di averli invitati, come hanno fatto i due Papi, a cambiare strada e vita. E poi, scusi monsignor Morosini, che razza di messaggio arriverebbe alle famiglie dei bambini che non c’entrano niente con i boss e i loro riti di affiliazione?
D'accordo, non si può certo insegnare a un vescovo a fare il suo mestiere e forse la proposta vuole essere solo una “provocazione”, una denuncia estrema in una situazione oramai insostenibile. Ma se così è, meglio confessarlo senza ambiguità perché non venga meno la certezza che nella Chiesa nessun uomo può essere considerato indegno e immeritevole dei doni di Dio. Che si è rivestito della nostra carne per farsi incontrare da tutti. Chi può dirsi più “meritevole” di e vantare più dignità?. Certo, occorrono pentimento e sincera disposizione, ma il giudizio finale tocca sempre a Uno solo. Se pure i ministri di Dio perdono la speranza, presumono di fare l’elenco di chi va accolto o lasciato fuori dall’Arca, beh forse qualcosa non gira nel verso giusto. Che non è certamente quello di un imperdonabile “giustizialismo” clericale, per giunta esercitato a senso unico.
Via, siamo sinceri: a padrini e madrine si chiede il certificato antimafia o la ricevuta del modello 730, ma su loro si chiude volentieri un occhio se sono divorziati, convivono o hanno i piedi in due o più famiglie. Allora, e solo allora, misericordia e accoglienza cristiane tornano improvvisamente in scena, perché alla fine un altare non si nega a nessuno. Semmai, alla gogna della scomunica ci va chi osa eccepire sulla compatibilità di questi “irregolari” con il ruolo di testimoni. È quel che è successo al parroco di Cameri sconfessato e bacchettato pubblicamente dal suo vescovo solo perché ha fatto notare che «il matrimonio civile e la convivenza non sono un sacramento. Pertanto chi si pone al di fuori del sacramento contraendo il matrimonio civile, vive un’infedeltà continuativa». Che i tanto sbandierati princìpi non negoziabili siano stati più modestamente riposizionati a scendiletto dei nuovi comandamenti sociali e civili? Ai vescovi l’ardua sentenza.