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IL CASO VENETO

Scuola, ricominciamo dalla buona educazione

Ha suscitato scalpore la decisione di Elena Donazzan, assessore regionale all’Istruzione del Veneto, di ripristinare una serie di regole educative per studenti e genitori che ridiano il giusto ruolo agli insegnanti. Non è solo una questione di forma.

Editoriali 24_01_2019

Ha suscitato un certo scalpore la decisione che Elena Donazzan, assessore regionale all’Istruzione del Veneto, ha preso per ripristinare i fondamentali di riferimento del mondo della scuola. Di fronte ad una decadenza che pare inarrestabile e che coinvolge non solo la qualità dell’apprendimento, ma anche ogni altro aspetto della vita della scuola, non ultimi i rapporti interpersonali, ha pensato che fosse arrivato il momento di dire basta e di fare qualcosa.

In sintesi: gli studenti devono tornare a dare del “lei” agli insegnanti, alzarsi quando entra un docente e vestirsi in modo adeguato, magari ripristinando il grembiule. Per quanto riguarda invece i genitori più irruenti, d’ora in poi chi si presenterà a scuola con comportamenti violenti e aggressivi, prendendosela con i docenti e interferendo con l’attività didattica, sia a livello verbale se non addirittura alzando le mani, verrà denunciato.

Effetto rimbalzo? Forse, ma francamente non se ne può più di questo buonismo melenso e ipocrita che, come una placca amiloide che toglie ossigeno al cervello, sta distruggendo ogni ambito del vivere civile, scuola statale compresa, livellando tutto verso il basso. In nome della sostanza ormai si rifiuta ogni forma; in nome della spontaneità si rifiuta ogni obbedienza; in nome della dimostrazione si rifiuta ogni imposizione e si rifugge da ogni battaglia; in nome dei ponti si criminalizza ogni muro… Dimenticando che la realtà in cui viviamo è fatta di forma e sostanza, che si richiamano e sostengono vicendevolmente, e che quando si censura l’una a favore dell’altra si provocano deformazioni ideologiche e violenze.

Dare del “tu” ai docenti, per esempio, è grave, e non per una questione di etichetta, ma per una ragione educativa: per imparare ho bisogno di avere di fronte qualcuno che è più avanti di me, che chiede rispetto e obbedienza, che io sono tenuto a seguire se voglio crescere. Il “Lei” è una forma – un segno - che aiuta a ricordare che il rapporto educativo è sempre asimmetrico, è “dispari”. E che quindi ognuno deve stare al posto che gli è assegnato per svolgere al meglio i propri compiti.

Qualche tempo fa Galli della Loggia scrisse una sorta di Decalogo per il nuovo ministro, in cui, fra le altre, c’era la proposta di ripristinare le cattedre rialzate. Apriti cielo! Proposta fascista, retrograda, da bacchettone formalista, etc… Eh già, i docenti devono stare al piano terra, essere amiconi degli studenti, insegnare senza lasciare segni, urlare a bassa voce e farsi menare senza troppo protestare da studenti e genitori quando contravvengono al codice sessantottino del “vietato vietare”…

Eppure, anche la cattedra rialzata era un segno che aveva un suo perché; aiutava a ricordare che chi siede lì è più in alto, ha una autorità riconosciuta, gli si deve rispetto per il ruolo che ricopre. Dunque, quando entra ci si alza in piedi. Anche questo aiuta ad imparare.

Oggi, parlare di “buona educazione” ha un che di retrogrado, moralista, fuori dal tempo, e tutti i segni che indicano autorità, deferenza, compostezza, sono stati aboliti: verbali, ambientali, corporei. Certo, alla forma deve corrispondere la sostanza, e su questo ci sarebbe tanto da dire. Ma abolire le forme non è certo la strada migliore perché questo accada. Il risultato, come è evidente a tutti, è stato solo una enorme confusione che non fa bene a nessuno.

La stanchezza per questo stato di cose inizia ad essere palpabile: quasi il 90% delle persone che hanno partecipato ad un sondaggio sull’iniziativa dell’assessore Donazzan si sono dette a favore. Che la coda avvelenata del sessantotto cominci a perdere il suo potere?