Scuola Diaz, fu vera "tortura"?
La Corte europea dei diritti dell'uomo ha perso il senso delle parole? Ha condannato l'Italia per "tortura", sull'irruzione della polizia nella scuola Diaz di Genova (2001). Ci furono abusi, che sono stati puniti dalla magistratura italiana, ma è difficile parlare di "tortura". Il rischio è quello di riaccendere la stagione incandescente che seguì il G8, quattordici anni fa.
Ormai siamo abituati alla giurisprudenza spesso stravagante della Corte europea dei diritti dell’uomo. Nell’ambito dei temi etici ne abbiamo avuto la riprova a più riprese. Anche sul versante del delicato equilibrio tra diritto all’informazione e tutela della privacy e della dignità personale, ha assunto posizioni discutibili. D’altronde le sentenze si possono commentare e anche criticare, purché, lo ha detto più volte la Cassazione, si tratti di critiche argomentate e non pregiudiziali, quindi mosse nel rispetto della dignità dell’organo giudicante.
Prima i fatti. Ieri la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia per le violenze alla Scuola Diaz, durante il G8 di Genova, nel 2001. Dopo quasi 15 anni, i giudici europei hanno qualificato come tortura quanto compiuto dalle forze dell’ordine italiane e vi hanno ravvisato la violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che prevede il divieto di tortura e di trattamenti inumani e degradanti. All'origine del procedimento c'è il ricorso presentato da Arnaldo Cestaro, romano nato nel 1939, che si trovava all'interno della scuola al momento dell'irruzione delle forze dell'ordine. All'epoca dei fatti l'uomo aveva 62 anni: fu picchiato più volte, e in seguito al pestaggiò riportò fratture multiple. L'Italia, secondo quanto statuito ieri dalla Corte, "dovrà versare a Cestaro un risarcimento di 35mila euro".
Ma l’organo giurisdizionale si è spinto anche oltre e ha dichiarato che l’Italia non ha potuto punire in modo esemplare tale abuso, non avendo una legislazione adeguata a punire il reato di tortura. In Parlamento sono state depositate in anni passati proposte di legge in tal senso e ora il Pd, partito di maggioranza, dice di voler accelerare i tempi.
Battaglia di buon senso, indubbiamente. Ma a voler mettere i puntini sulle “i”, non è affatto detto che a Genova si siano verificati effettivamente episodi riconducibili alla fattispecie della tortura. Certamente ci sono stati abusi da parte delle forze di polizia e la giustizia ordinaria li ha sanzionati. Pressappochismo e improvvisazione nella gestione del corteo hanno fatto il resto, trascinando nel fango (anche mediatico) servitori dello Stato che avevano comunque fatto il loro dovere. Nutriamo cioè forti dubbi sul fatto che quanto accaduto nel luglio 2001 a Genova,anziché come abuso, possa essere qualificato come trattamento inumano e degradante.
Il reato di tortura va introdotto nella sua accezione di dolo specifico e aggravante per chi usa violenza in modo ingiustificato, o per infliggere punizioni, per provocare lesioni o per estorcere dichiarazioni. L’importante, però, è che non diventi un manifesto ideologico contro le forze dell’ordine, perché rischierebbe di legittimare altri abusi, quelli dei manifestanti.
Anche durante il G8, che arrivò peraltro due mesi dopo la vittoria del centrodestra alle elezioni politiche, si registrarono parecchie cariche di manifestanti ai danni della polizia e la matrice di quegli attacchi era certamente di estrema sinistra, come è stato peraltro dimostrato a posteriori. Il clima incandescente che si creò in quelle ore fu anche viziato da estremismi ideologici, di destra e di sinistra, che finirono per alimentare un circuito di molteplici e stucchevoli strumentalizzazioni a proposito, ad esempio, della morte di Carlo Giuliani. Umana pietas va riconosciuta alla vittima, ma è innegabile che senza quel clima, propiziato dalle frange estreme dei manifestanti, quel giovane oggi sarebbe ancora in vita. Appare altresì probabile che la morte tragica di Giuliani abbia condizionato la chiave di lettura dei fatti di Genova, facendo pendere la bilancia decisamente a favore dei Social Forum e contro le forze dell’ordine. Si ricorderà che Giuliano Giuliani, padre della vittima, assunse perfino dei ruoli politici all’indomani della tragedia occorsa al figlio.
Tutto questo per onestà intellettuale va ricordato, anche al fine di ristabilire un minimo equilibrio nella ricostruzione dei fatti. Bene ha fatto la giustizia italiana, con sentenza definitiva della Cassazione, a punire i poliziotti che hanno abusato del loro potere, picchiando in modo violento i manifestanti. Più opinabile appare, invece, la qualificazione di quelle azioni come “inumane” e riconducibili alla fattispecie della “tortura”.
Manifestare (esercizio della libertà di riunione) è un diritto costituzionale, purchè rimanga nei limiti della correttezza, della compostezza e del rispetto dei diritti altrui. A ricordarlo devono essere i manifestanti, tanto quanto le forze dell’ordine.