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tra diritto e diritti

Scudo penale, sconfitta di Stato: agli agenti serve il gratuito patrocinio

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La proposta di una sorta di scudo penale per le forze dell'ordine a cui sta lavorando il Governo evoca l'idea di uno Stato di polizia che ha paura, come abbiamo visto in pandemia. Agli agenti serve il gratuito patrocinio, lo Stato non deve abbandonarli davanti a un giudice e al conto salato degli avvocati.

Editoriali 17_01_2025

Il dibattito politico sta virando verso lo scudo penale concesso agli agenti nell’esercizio delle loro funzioni. I recenti fatti di cronaca stanno esponendo le forze dell’ordine in un vortice mediatico che li vede seduti sul banco degli imputati, colpevoli di aver svolto il loro lavoro che è quello di fermare i delinquenti. Ecco perché la proposta dello scudo penale a cui starebbe lavorando il Governo, si sta imponendo nel dibattito come misura necessaria per dare a Polizia e Carabinieri la serenità per poter svolgere il loro lavoro. La sinistra insorge, ovviamente e la destra smentisce a denti stretti.

In realtà la proposta è più complessa.

Non si tratterebbe di un vero e proprio scudo penale, ma di una corsia preferenziale per gli agenti. Attualmente, a lavorare a questa soluzione sarebbe il Sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, di concerto con il ministro della Giustizia Carlo Nordio, anche se non si starebbe pensando a un vero e proprio scudo penale, ma a una misura che agevolerebbe gli uomini in divisa in un ipotetico contenzioso, mettendoli al riparo da un avviso di garanzia, che il Guardasigilli ha definito uno «stigma sociale», a differenza di quello che realmente dovrebbe essere, cioè uno strumento a garanzia dell’imputato.

Non uno scudo penale, dunque, ma qualcosa di simile che consenta al pm di aprire e chiudere in tempi record un fascicolo e senza iscrivere gli agenti nel registro degli indagati, verificare immediatamente, anche sulla base delle prove testimoniali, se ci sono i presupposti per aprire un’indagine.

Se questi dovessero mancare manifestamente, allora, la procura archivierebbe la denuncia dell’eventuale vittima e il carabiniere sarebbe al riparo da qualsiasi contestazione. Il tutto, stando alle indiscrezioni, si dovrebbe svolgere nell’arco di 7 giorni: un tempo impensabile nelle aule di giustizia anche solo per trasmettere un fascicolo da un ufficio all’altro.

Ecco perché la proposta appare un po’ demagogica e un tantino pericolosa. Lasciando perdere gli aspetti tecnici e giuridici, perché ci sarebbe da mettere mano e non poco al codice di procedura penale, emerge però un interrogativo di fondo. Che cosa si vuole dare agli agenti? Uno strumento giuridico che li metta al riparo da vendette di tifosi maneschi picchiati e famigliari di delinquenti uccisi nel corso di una retata o garantire che la giustizia possa essere davvero quell’unicuique suum che è uno dei pilastri del nostro diritto?

Se l’obiettivo è il primo, allora ben venga qualunque corsia preferenziale serva all’agente dal mettersi al riparo da contenzioni o anche solo da uno snervante procedimento d’ufficio per il solo fatto di aver svolto il proprio lavoro, purché, però, non si scivoli nell’arbitrio o peggio ancora in quell’abuso di potere che farebbe ricadere lo Stato dalla parte del torto, anche quando cerca di perseguire il bene.

Ma se l’obiettivo è quello di affermare un principio di giustizia, e cioè che tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, allora lo strumento di cui avrebbero bisogno gli agenti è un altro. E si chiama: gratuito patrocinio.

È questo che le forze di Polizia chiedono insistentemente ad ogni governo. È questo di cui avrebbero bisogno maggiormente. Come abbiamo mostrato nell’intervista ad Antonio Porto, segretario generale del sindacato Osa Polizia, il problema principale degli uomini in divisa, è che sono completamente nudi di fronte alle maglie della giustizia e anche solo per affermare la propria innocenza sono costretti ad attendere anni e a sborsare cifre folli per sostenere la difesa. Tutto questo demoralizza e alla lunga porta gli uomini migliori a ritirarsi negli uffici lasciando sguarnito il controllo del territorio.

Porto, ad esempio, citando il suo caso, ha ricordato che per essere assolto dall’accusa di aver picchiato un tossico, ha dovuto aspettare parecchi anni, ma nel frattempo ha sborsato la bellezza di 66mila euro, dei quali solo 16mila gli sono stati restituiti dallo Stato, che prevede per le forze dell’ordine un supporto legale insufficiente e da fame.

Ecco perché Fratelli d’Italia ha lanciato una petizione in queste ore chiamata Io sto con le forze dell’ordine che prevede diverse misure, tra cui l’inasprimento delle pene per resistenza, violenza, minaccia e lesioni al pubblico ufficiale, la creazione del reato di rivolta in carcere, maggiori strumenti di difesa e da ultimo una maggiore tutela legale per le nostre Forze dell’Ordine.

Maggiore non vuol dire gratuita, ma è chiaro che il concetto è recepito nel momento in cui si riconosce che l’agente non può rimetterci del suo per potersi difendere da accuse che il più delle volte sono pretestuose e si avvicinano più alla rivalsa da lite temeraria che al vero desiderio di giustizia.

Garantire ai poliziotti la difesa, come avviene quando si sottoscrive una polizza assicurava, anche una banale Rca che preveda la tutela legale o per alcune professioni come quella del giornalista quando gli editori fanno gli editori, consentirebbe ai poliziotti di affrontare più serenamente gli strascichi giudiziari insorti dopo che hanno svolto il loro lavoro.

Perché è evidente che un poliziotto messo sotto accusa per aver ucciso un rapinatore non lo ha fatto perché ha il grilletto facile o per particolare sadismo, ma perché stava svolgendo un’attività pubblica per conto del suo datore di lavoro, che è lo Stato, ed è giusto allora che lo Stato gli conceda la possibilità di difendersi non a sue spese.

Uno scudo, invece, o qualunque altra misura giuridica che preveda un percorso differenziato andando a modificare solo per pochi cittadini la procedura penale - come quello a cui il governo sta lavorando – sa inevitabilmente di uno Stato di polizia che ha paura e si sottrae al giudizio.

La memoria della pandemia ci ha insegnato che quando lo Stato scuda i suoi uomini, allora erano i medici, è perché vuole sottrarli a responsabilità colpose certe e gravi, come puntualmente dimostrato con le migliaia di vaccinati danneggiati, che non hanno potuto rivalersi sui medici vaccinatori per colpa di un consenso informato capestro. Di più, l'essere sollevati da reati non li metteva comunque al riparo da eventuali richieste di risarcimento in sede civile per responsabilità in solido, principi di stato di diritto che non si possono cancellare con un colpo di spugna. 

Uno Stato che dà una licenza di impunità per i suoi servitori che di questa impunità possono approfittare, perché l’animo umano è davvero volubile di fronte al bene e al male. Invece, affiancarli nel procedimento giudiziario fino ad assoluzione definitiva, sarebbe il segnale che lo Stato non abbandona i suoi uomini migliori nel momento del bisogno, confermando che il servizio allo Stato prosegue anche nelle aule di giustizia dove il loro operato viene giudicato.