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IL LIBRO

Scruton, l’eredità di un “conservatore creativo”

Ha remato controcorrente per cinquant’anni, dalla lucida critica al Sessantotto a quella all’ambientalismo come religione, passando per il secolarismo. Copiosissima la sua produzione scritta. Un gruppo di intellettuali italiani gli ha dedicato un saggio a più mani: Roger Scruton. Vita, opere e pensiero di un conservatore.

Cultura 10_03_2022

Parigi, maggio 1968. Dalla finestra del suo appartamento al Quartiere Latino, un ventiquattrenne dottorando inglese osserva i tumulti della contestazione studentesca. “La mia esperienza a Parigi nel 1968 - scriverà anni dopo - mi aveva persuaso che la politica rivoluzionaria conduce inevitabilmente al nichilismo e ad un mondo frammentato dal sospetto e dal risentimento”. Quel giovane intellettuale aveva compreso che era meglio “conservare le cose che tirarle giù”. Quell’uomo era Roger Scruton (1944-2020), il massimo intellettuale conservatore britannico a cavallo dei due secoli. C’è chi lo ha chiamato “l’ultimo degli umanisti”, chi il “filosofo della bellezza”, chi un “brillante polemista”. Tra gli avversari, c’è chi lo ha definito un “filosofo controverso”, chi un “conservatore gentile”. Al di là delle etichette, indubbiamente Scruton è una figura con il cui pensiero sarà utile confrontarsi per molti anni.

Un gruppo di intellettuali conservatori italiani ha deciso di dedicare a Scruton un pregevole e denso saggio a più mani. Roger Scruton. Vita, opere e pensiero di un conservatore (Giubilei Regnani, 2021) è il titolo del libro, a cura di Luigi Iannone e Gennaro Malgieri, che sintetizza in modo esauriente ogni risvolto della produzione scrutoniana, in ogni ambito intellettuale battuto dal filosofo britannico: la politica, l’arte, la religione, l’ambiente. Oltre ai curatori, al volume hanno contribuito Federico Cenci, Renato Cristin, Christopher Fear, Luca Fumagalli, Francesco Giubilei, Giancarlo Ianulardo, Antonio Lombardi, Susanna Manzin, Andrea de Meo Arbore, Giulio Meotti, Corrado Ocone, Oscar Sanguinetti e Aldo Stella.

Il saggio curato da Iannone e Malgieri non scinde mai l’uomo Scruton dall’intellettuale. Scorrendo le pagine, si tocca con mano tutta l’inquietudine di chi ha remato controcorrente per cinquant’anni, diventando non uno studioso da scrivania, che si confronta con freddi paradigmi accademici, ma una persona che ha vissuto intensamente la propria vita e la propria epoca, provando anche a spiegare il proprio tempo e con successo. Una vita che vede la luce nella fase declinante della Seconda Guerra Mondiale e che si congeda da questo mondo un istante prima dell’attuale pandemia. In mezzo ci sono stati il Sessantotto, il crollo del comunismo, la globalizzazione, l’ambientalismo radicale, il terrorismo islamico, la crisi del progetto europeo. Scruton è stato un attento testimone di ognuno di questi passaggi epocali, senza mai perdere l’approccio da filosofo.

Negli anni Ottanta, si distinse per i suoi contatti con i dissidenti dell’Est Europa e ciò gli guadagnò la fama di anticomunista. Scruton, comunque, rimase un passo indietro (o forse era già un passo avanti…) rispetto alla rivoluzione liberista della Thatcher e di Reagan. Era infatti molto più assimilabile al classical conservatorism di un Edmund Burke o di un Lord Salisbury che non a un von Hayek. “Né il socialismo, né il liberalismo - scrive Scruton alla fine degli anni Settanta - possono venire a patti con la reale complessità della società umana ed entrambi appaiono plausibili solo perché dirigono l’attenzione lontano da ciò che è reale, verso ciò che è semplicemente ideale”.

Da conservatore, Scruton vive la scristianizzazione dell’Europa e la pone in relazione con la sfida dell’Islam. Le sue posizioni sono state identificate con quelle dei teocon americani, ma, anche in questo contesto, il filosofo britannico sfugge alle facili etichette. Se è vero che la sua contrapposizione al multiculturalismo e all’oikofobia è frontale, Scruton non banalizza affatto l’Islam, né la sua presa sulle giovani generazioni, annoiate dal secolarismo. “Se non difendiamo la nostra fede, l’Islam avrà il sopravvento”, eppure, osservava il filosofo nel 2014, essendo più adattabile alla modernità, il Cristianesimo ha “maggiori probabilità di sopravvivenza se i fedeli sanno dedicarvi il proprio cuore e la propria mente”.

Roger Scruton è tutto questo e molto altro. La sua copiosissima opera comprende saggi sull’urbanistica, sull’ecologia, persino sui piaceri della convivialità e, in particolare, del vino. Ama la vita di campagna e la natura incontaminata ma, da conservatore, non può accettare l’ambientalismo come nuova religione. Ama gli animali ma, sempre da conservatore, non riesce a vederli come dei sostituti degli umani. Da conservatore, Scruton era spesso malinconico e amareggiato per i valori che l’Occidente stava perdendo. Non era però un reazionario ideologico, né un tradizionalista nostalgico. Per il filosofo britannico, la nobile funzione dell’intellettuale conservatore è quella di aiutare a proteggere tutto ciò che è destinato a mantenere viva l’umanità nei secoli. Quello di Scruton è un “conservatorismo creativo” dell’“eterno ritorno”. Anche per questo, non è retorico considerarlo un maestro destinato a insegnare molto alle prossime generazioni.