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LETTERE IN REDAZIONE

Sconcerto per le parole su Marrazzo

"C'è una forza che spinge le persone a compiere atti contro la loro volontà: si chiama compulsione. L'unica soluzione è aiutare le persone a non accontentarsi di un bene apparente, e a capire che possono avere veramente ciò che desiderano: essere amati da Dio".

Caro Direttore,

sono letteralmente sconcertata per l'articolo apparso su 'La Bussola' di Roberto Marchesini a discolpa di Marrazzo. Mi spiace dirlo ma un articolo così non fa fare bella figura a questa testata on-line.
Dopo averlo letto viene proprio voglia di inneggiare alla prostituzione, anche di uomini, che travestiti da donna ne scimmiottano i comportamenti. La loro è una missione, per carità, non si tratta di uno squallido momento di sesso aberrante, ma un momento di riposo, di ascolto, di amore!
E allora perchè non accettare qualunque altro tipo di amore, se l'altro si sente accolto? Anche quello tra omosessuali andrà bene, in fondo anche loro dicono di amarsi!
Credo sinceramente che le convinzioni di oberto Marchesini non possano trovare spazio in un sito che vuole orientare al bene e alla verità chi lo legge.
 
                                                                                                                                         M. Santina Gliozzo

Gentile sig.ra Gliozzo,
credo che lei abbia equivocato l'articolo di Roberto Marchesini, e con lei qualche altro lettore che ha interpretato le parole del nostro collaboratore come un'accondiscendenza verso certi comportamenti. Nulla di tutto questo e sono certo che l'articolata risposta di Roberto Marchesini, che è psicologo e psicoterapeuta di professione, fugherà qualsiasi dubbio, ma anche aprirà una finestra - come faceva l'articolo del resto - su ciò di cui è fatto il cuore dell'uomo. (Riccardo Cascioli)

Risponde Roberto Marchesini

Sono sinceramente stupito per alcune reazioni al mio articolo relativo all'intervista concessa da Piero Marrazzo a Repubblica, come se avessi inneggiato alla prostituzione e a tutto quel che ne consegue. Ho scritto: “La prostituzione è una scorciatoia che dà l'illusione di essere amati”. Non credo che possa essere interpretata come un inno, e neppure una giustificazione nei confronti della prostituzione.
Ma nessuna giustificazione: se un articolo fa intendere il contrario di quello che era nelle intenzioni dello scrittore, ha sbagliato chi ha scritto, non chi ha letto.
Così provo a rimediare: l'adulterio è un peccato, Marrazzo ha sbagliato, l'unica sessualità lecita è quella coniugale.
In questo rassicuro i lettori: sono perfettamente d'accordo con loro.

Il mio problema è questo: incontro ogni giorno persone che combattono contro una compulsione sessuale.

Anche loro credono che l'adulterio sia un peccato e che l'unica sessualità lecita sia quella coniugale.
Sono sinceramente affranti per il loro comportamento, e vogliono essere aiutati a capire i motivi per i quali hanno commesso (e continuano a commettere) atti che disgustano loro stessi.
I loro sforzi e la loro buona volontà non sono serviti a superare questi comportamenti.
Sono pentiti, hanno chiesto perdono a Dio per i loro orribili peccati, per i quali provano sincero disgusto. Ma tutto questo non li aiuta.

Che fare, allora? Digli di rassegnarsi al peccato e di prepararsi all'inferno? Di legarsi una macina al collo e di buttarsi nel mare? C'è poco da ridere: molti di loro pensano seriamente al suicidio.
Una volta condannato il peccato, dunque, come aiutare il peccatore, cioè il nostro fratello che soffre come un cane perché la sua vita è completamente rovinata da comportamenti indesiderati?

Perché ci sia un peccato mortale, insegna la dottrina della Chiesa, occorrono tre condizioni: la materia grave (e sicuramente l'adulterio lo è), la piena avvertenza (e ci siamo) e il deliberato consenso. Ecco: a volte il consenso non è pienamente deliberato. Ho in mente almeno due brani del Magistero nel quale si contempla questa situazione: il § 2352 del Catechismo della Chiesa Cattolica, a proposito della masturbazione, e la Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla cura pastorale delle persone omosessuali (§ 11). In termini psicologici, questa forza che spinge le persone a compiere atti contro la loro volontà si chiama compulsione. Alcune persone hanno comportamenti compulsivi, di tipo sessuale (pornografia, masturbazione, prostituzione...) o di altro tipo (alimentare...).

Capisco che aiutare il paziente a capire le motivazioni di questi comportamenti può sembrare, dall'esterno, agli occhi di chi non vive questi drammi, una giustificazione. Eppure è l'unico modo per superarli.


Come dice san Tommaso, Omnis appetitus non est nisi boni (S. Th. I-II, q. 8 a. 1): ogni appetito ha per oggetto solo il bene. Eppure ci sono pulsioni che evidentemente muovono l'uomo verso qualcosa che evidentemente non è un bene. Come è possibile? Risponde, nello stesso articolo, san Tommaso: “Ora, bisogna considerare che, derivando ogni inclinazione da una data forma, l'appetito naturale dipende dalla forma che si trova nella natura; l'appetito sensitivo e quello intellettivo o razionale, chiamato volontà, dipendono invece dalle forme avute in seguito alla percezione. Come quindi l'oggetto verso cui tende l'appetito naturale è il bene esistente in realtà, così l'oggetto verso cui tende l'appetito animale o quello volontario [razionale] è il bene conosciuto. Perché dunque la volontà tenda verso un oggetto non è necessario che esso sia un bene vero, ma che sia conosciuto sotto l'aspetto del bene. E per questo il Filosofo [Aristotele] scrive che «il fine è un bene, o un bene apparente»” (Cfr. ARISTOTELE, Phisica II, 195a26.).

Dunque, quando un paziente mostra delle tendenze che lo spingono verso un male, non è lui che è sbagliato (“Omne ens est bonum”, S. Th. I, q. 5, a. 3), né i suoi appetiti (“Omnis appetitus non est nisi boni”); bensì egli è semplicemente attratto da un bene apparente, ossia da qualcosa che non è un vero bene, ma che gli appare come un bene. A volte questa distorsione è la conseguenza dell'educazione, o delle esperienze; spesso, invece, il paziente si accontenta di un bene relativo perché pensa di non poter avere un bene assoluto. È questo, ad esempio, il caso delle dipendenze nelle quali la persona si accontenta di un piacere perché pensa di non poter avere un bene vero.


E' il meccanismo psicologico descritto nel bel (e breve) testo teatrale dello scrittore statunitense Cormac McCarty intitolato Sunset limited (pp. 48-49):


NERO (...) La paura più grossa dell’ubriacone non è quella di morire per colpa dell’alcol, cosa che tanto gli capiterà. È restare a corto di alcol prima che gli succeda. (...) Ma se dai un bicchiere pieno a un ubriacone e intanto gli dici che non è quello che vuole davvero, secondo te lui che cosa ti risponde?
BIANCO Penso di potermelo immaginare, cosa mi risponde.
NERO Certo. Eppure avevi ragione tu.
BIANCO Dicendogli che non è quello che vuole davvero.
NERO Esatto. Perché quello che vuole davvero non lo può avere. Oppure è convinto che non lo può avere. E quindi si ingozza di quello che non vuole davvero.
BIANCO E invece cos’è che l’ubriacone vuole davvero?
NERO Avanti, lo sai anche da solo.
BIANCO No, non lo so.
NERO Sì, invece.
BIANCO No.
NERO Hm.
BIANCO Hm cosa?
NERO Sei un caso difficile, professore.
BIANCO Guardi che neanche lei è una passeggiata.
NERO E così non sai cos’è che l’ubriacone vuole davvero.
BIANCO No che non lo so.
NERO Vuole quello che vogliono tutti.
BIANCO E cioè?
NERO Essere amato da Dio”

L'unica soluzione che io conosco è quella di aiutare le persone a capire che non debbono accontentarsi di un bene apparente (il loro comportamento compulsivo), ma che essi possono davvero avere ciò che desiderano: essere amati da Dio. Anzi: che essi SONO amati da Dio.


Concludo qui, perché credo di essere stato chiaro (lo credevo anche la volta precedente, per la verità).

A chi ancora avesse dei dubbi sul mio pensiero circa l'adulterio e sulla mia adesione alla dottrina morale della Chiesa, consiglio la lettura del mio Quaderno del Timone intitolato Amore e sessualità. La teologia del corpo di Giovanni Paolo II.