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Carceri sovraffollate, l'allarme del sindacato di polizia

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Il Sappe presenta un esposto sulla situazione carceraria sempre più insostenibile per i detenuti e anche per gli agenti. Uno scenario drammatico che richiede azioni concrete perché le statistiche e le dichiarazioni non bastano più.

Attualità 03_07_2025
MARCO CREMONESI - IMAGOECONOMICA

Il sistema carcerario italiano versa da anni in una condizione di profondo degrado, aggravata da un cronico sovraffollamento, da carenze strutturali e da gravi squilibri nella gestione territoriale della popolazione detenuta. A fotografare con chiarezza l’emergenza è l’ultimo aggiornamento dei dati al 31 maggio di quest’anno: a fronte di 51.296 posti regolamentari negli istituti penitenziari, risultano detenute 62.761 persone, con un tasso medio di affollamento pari al 134,27%. Questo significa che per ogni 100 posti disponibili ci sono 22 detenuti in eccesso, con conseguenze pesantissime sia sulla vivibilità interna delle carceri che sulle condizioni di lavoro degli agenti della polizia penitenziaria, già duramente provati da turni estenuanti, carenze di organico e frequenti episodi di violenza.

Il problema, tuttavia, non si distribuisce in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale: alcune regioni, come la Valle d’Aosta o il Trentino-Alto Adige, presentano numeri contenuti, con un tasso di affollamento vicino al 100% o addirittura inferiore, mentre in altre – in particolare nel Centro-Sud – la situazione ha superato da tempo i livelli di guardia. La Puglia è attualmente la regione più critica, con 4.388 detenuti a fronte di 2.945 posti regolamentari, anche se secondo il Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria (Sappe) la capienza reale sarebbe ancora più bassa, attestandosi attorno ai 2.650 posti, a causa di sezioni chiuse per ristrutturazione. Il tasso di sovraffollamento salirebbe così al 170%, un dato drammatico che si traduce in celle stipate oltre ogni limite di decenza, mancanza di privacy, difficoltà nell’accesso ai servizi sanitari e alla rieducazione, e carenze croniche di personale.

Questa distribuzione così disomogenea ha spinto il Sappe a presentare un esposto alla Corte dei Conti per denunciare una gestione poco equilibrata da parte del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap), colpevole – secondo il sindacato – di non aver tenuto conto delle reali esigenze locali e di aver adottato criteri discutibili per il calcolo dello spazio minimo vitale per ogni detenuto, includendo anche il volume occupato dal letto, in palese contrasto con quanto stabilito dalla giurisprudenza europea.

Il problema, tuttavia, non è soltanto quantitativo: a questo scenario si somma la presenza sempre più diffusa di criticità sanitarie, strutturali e di sicurezza, con casi sempre più frequenti di violenze, tentativi di evasione, infiltrazioni criminali e traffico illecito di droga e cellulari che avviene perfino tramite l’uso di droni. Il Sappe chiede con forza un piano di interventi urgenti e strutturali: il trasferimento dei detenuti stranieri nei Paesi d’origine, l’invio dei tossicodipendenti in comunità terapeutiche anziché in carcere, la creazione di strutture dedicate per i detenuti con disturbi psichiatrici, il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie, l’implementazione di tecnologie anti-intrusione per contrastare il traffico illecito di oggetti, e soprattutto l’incremento del personale educativo e penitenziario. «Abbiamo segnalato tutto questo per anni a governi di ogni colore senza ottenere risposte – afferma il segretario nazionale del Sappe, Federico Pilagatti – ora non ci resta che l’esposto, per fermare un’emorragia di diritti e di risorse pubbliche».

Il nodo del sovraffollamento, intanto, resta al centro del dibattito politico e istituzionale. Il ministro della Giustizia Carlo Nordio, in una recente intervista, ha riconosciuto la gravità della situazione, auspicando una profonda riforma del sistema penitenziario e annunciando nuove misure per migliorare le condizioni delle carceri. Tra le proposte più significative avanzate dal Guardasigilli figurano la detenzione differenziata per i tossicodipendenti – da collocare in apposite comunità terapeutiche – e l’espiazione della pena per i detenuti stranieri nei Paesi d’origine, due categorie che da sole rappresentano circa la metà della popolazione detenuta.

Un’altra questione centrale sollevata da Nordio riguarda la custodia cautelare: attualmente circa 15.000 persone si trovano in carcere in attesa di giudizio, non ancora condannate, e molte di esse finiranno per essere riconosciute innocenti. Una simile gestione della custodia preventiva non solo contraddice il principio della presunzione di innocenza, ma alimenta direttamente il sovraffollamento, svuotando di senso la funzione rieducativa della pena prevista dall’articolo 27 della Costituzione.

A complicare ulteriormente la prospettiva di un miglioramento strutturale vi sono i limiti imposti dai vincoli ambientali, geologici e culturali che rendono spesso complessa la costruzione di nuovi edifici penitenziari. Anche se è in via di approvazione un piano per l’edilizia carceraria, la sua realizzazione sarà lunga e ostacolata da difficoltà burocratiche e urbanistiche.

In questo quadro desolante è intervenuto anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il quale, due giorni fa, ha ribadito la necessità di garantire condizioni di vita dignitose nelle carceri italiane, sottolineando l’urgenza di contrastare la drammatica sequenza di suicidi tra i detenuti e il personale penitenziario. Il Capo dello Stato ha richiamato tutti, istituzioni e cittadini, al rispetto della dignità umana di chi sconta una pena, nella convinzione che la giustizia non possa mai coincidere con la vendetta o con l’abbandono. Un carcere che umilia, che disumanizza e che rinuncia a rieducare non solo viola i diritti fondamentali della persona, ma fallisce anche la sua missione più profonda: restituire alla società individui migliori.

Il tempo delle denunce, dei dati, delle statistiche e delle dichiarazioni sembra ormai concluso. Occorrono azioni concrete, coraggio politico e una visione di lungo periodo, capace di superare le logiche emergenziali e restituire senso a un sistema penitenziario in cui la pena non sia solo afflizione, ma anche opportunità di rinascita.



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