TESTIMONIANZA
Scola e Venezia, un addio che profuma di divino
Partecipare alla Liturgia con cui il patriarca ha salutato i fedeli veneziani, è stato sperimentare come il divino traspare nell'umano.
Attualità
12_09_2011
Mi trovo impacciato a rispondere a chi mi domanda come è stata la celebrazione dell’Eucaristia nella basilica di San Marco con il saluto del patriarca Scola in partenza per Milano, nel dolce vespero di mercoledì 7 settembre.
Cosa dire? Bellissima, intensa, umana. Bastano queste parole? La cronaca può raccontare i particolari e riferire le parole pronunciate e i gesti compiuti. Ma questa è una delle circostanze in cui si sperimenta che l’essere presenti di persona non ha paragoni rispetto ad altri canali informativi. E’ pur vero che qualcuno dice di non essere riuscito a staccarsi nemmeno dalla ‘diretta’ televisiva.
Prima di tutto è da notare il clima dell’intera celebrazione. Dieci anni fa, quando Scola è arrivato in laguna, avevo ugualmente partecipato al suo ingresso: ancor più solenne, se si vuole, ma certamente meno intenso e cordiale. Sotto le volte dei mosaici dorati della basilica, niente appare formale. La precisione delle azioni liturgiche, la proprietà nello svolgimento dei vari compiti trattengono il cuore e la mente per due ore abbondanti, diventando gesti espressivi del Mistero.
Una viva percezione che il divino traspare nell’umano – com’è appunto il sacramento – mi fa venire in mente l’aneddoto degli emissari dello zar di Russia sconvolti dalla bellezza della liturgia di Bisanzio. Appare evidente che tutti, dal Patriarca Scola ai fedeli, sono posti dentro un gesto di obbedienza al Mistero stesso: il Papa ha chiamato il padre a un altro compito, e i figli della Chiesa di Venezia sono chiamati ad ‘andare oltre’. E’ doloroso per Scola lasciare Venezia e altrettanto per i veneziani lasciarlo andare. La familiarità sperimentata tra il patriarca e le persone, e le opere intraprese in questi dieci anni avrebbero preteso una continuità di presenza e di collaborazione, ma la Provvidenza ha aperto una strada diversa.
Che cosa colpisce particolarmente? L’affetto sincero manifestato da Scola, evidentemente ‘cambiato’ dal rapporto con la città e con le persone incontrate, anziani e bambini in particolare; la sua partecipazione a tutti gli aspetti della vita degli uomini e delle donne della società veneziana; la sua capacità di accogliere, valorizzare, porre in comunione, rilanciare. “Che bella Chiesa locale è la Chiesa di Venezia!” dice Scola. Venezia di fronte al mondo e nella Chiesa universale esprime l’unità nella pluriformità come regola di vita e atteggiamento del cuore: la diversità, nell’unità della fede e dell’obbedienza, non provoca divisione ma crea ricchezza.
Nell’omelia la voce vibrante di Scola diventa pacata, a tratti sussurrata e commossa, soprattutto evocando l’ultimo passaggio in gondola nel Canal Grande, a veder fiorire dalle fondamenta corrose i palazzi della gloria veneziana, e a ricevere i saluti della gente sorpresa dai vaporetti e dalle rive. All’offertorio, il regalo che la Chiesa di Venezia presenta al patriarca in partenza è un contributo per un’opera di carità, che rimarrà a Venezia come testimonianza concreta e visibile. Alla fine un bambino, con la sua famiglia, va a consegnare a Scola un anello episcopale, segno di un legame sponsale che perdura nel tempo.
Colpiscono l’atteggiamento e le parole assolutamente non formali di quanti partecipano e prendono la parola: i tre saluti finali del prete, del laico, del giovane; quest’ultimo ricorda che la difficoltà a capire le parole del patriarca in questi anni veniva superata solo dal cambiamento del cuore, come di fatto è avvenuto.
Sono letteralmente commoventi le parole dell’anziano Patriarca Cè, grato per essere stato accolto come fratello: Scola scende ad abbracciarlo, e subito deve togliersi gli occhiali bagnati di commozione. Dopo la celebrazione mi capita insieme con altri amici di trattenermi con un prete di Venezia; dice che il patriarca Scola ricevendolo personalmente in visita pastorale gli ha detto prima di tutto: “Raccontami di te, della tua vita”; sapendo poi che doveva accudire la mamma malata gli ha suggerito: “Questa è la prima opera pastorale nella quale devi impegnarti. Io non ho potuto godere della vicinanza di mia mamma”.
Se il divino non accoglie e non esalta l’umano, che divino è? Avvenimenti di questo spessore segnano la vita e indicano la strada. Il Signore dona un accenno vivo della sua presenza, una goccia fertile d’abbondanza che riempie il cuore.