Scimmia-uomo, embrioni chimera da novelli stregoni
Ricercatori cinesi e americani hanno inserito cellule umane adulte (riconvertite a uno stadio di pluripotenza) in blastocisti di scimmia, con il fine di arrivare a «organi e tessuti per il trapianto». L’esperimento è fallito sul piano pratico e, su quello morale, fa temere per la deriva opposta: l’uomo-scimmia. Segno che, intanto, l’uomo si è fatto bestia.
La Cina non ci ha regalato solo il Coronavirus, ma anche gli embrioni chimera scimmia-uomo. È stato pubblicato lo scorso 15 aprile sulla rivista scientifica Cell lo studio dal titolo: Chimeric contribution of human extended pluripotent stem cells to monkey embryos ex vivo.
L’articolo, redatto da ricercatori cinesi e americani appartenenti a diversi istituti o università tra cui una cattolica, dà conto della seguente sperimentazione. Si sono prese cellule umane adulte e fatte regredire ad uno stadio di pluripotenzialità (cellule hPSC), ossia in uno stadio in cui possono generare - a livello teorico - moltissimi tessuti e organi. Queste cellule così riconvertite sono state inserite nelle blastocisti di scimmia (la blastocisti è il livello di sviluppo embrionale dopo 5-6 giorni dal concepimento) per vedere come interagivano. Dei 132 embrioni così manipolati solo tre, dopo 19 giorni, erano ancora vivi. Al ventesimo giorno sono morti anche questi tre embrioni.
Per quale motivo si sono creati questi embrioni chimera? La prima motivazione sarebbe quella di studiare il comportamento in vivo delle cellule pluripotenti umane. In secondo luogo lo studio voleva indagare le reali possibilità in merito alla «generazione di organi e tessuti per il trapianto». Infine «questi risultati possono aiutare a comprendere meglio lo sviluppo umano iniziale e l’evoluzione dei primati e sviluppare strategie per migliorare il chimerismo umano in specie evolutivamente distanti».
Le riserve sull’efficacia pratica di tale sperimentazione e sulla sua eticità sono presenti nell’editoriale dello stesso numero della rivista Cell che ospita l’articolo. In merito all’utilità di questa sperimentazione il genetista Giuseppe Novelli, dell'Università di Roma Tor Vergata, si domanda in modo retorico: «Siamo sicuri che questa sia una strada che porta alla formazione di organi funzionanti? Siamo certi che dobbiamo utilizzare embrioni chimera, se è possibile ottenere organoidi da cellule staminali indotte di una sola specie?».
Sul versante più squisitamente morale annotiamo qualche riflessione. In primo luogo, a scanso di equivoci, questi embrioni non sono embrioni umani imbastarditi con qualche cellula di scimmia, bensì l’opposto. Si tratta di embrioni di scimmia con materiale biologico umano. In secondo luogo riprendiamo il rilievo del dottor Novelli: se esistono altre soluzioni più efficaci per studiare il comportamento delle cellule staminali pluripotenti e per ottenere organoidi perché non perseguirle? In breve, alcune finalità indicate dallo studio saranno pur nobili, ma il metodo utilizzato non è dei più efficaci.
In terzo luogo - e arriviamo alla critica più importante - prendere cellule umane da inserire in embrioni di scimmia è la porta di ingresso per fare l’opposto e arrivare ad avere l’uomo-scimmia. Si inizia a prendere embrioni umani in cui inserire cellule di scimmia e poi si arriva a modificare il DNA umano con patrimonio genetico scimmiesco. Ecco perché, come ricorda ancora Novelli, «introdurre cellule staminali embrionali umane nella blastocisti di un macaco è fortemente vietato da tutte le linee guida di bioetica esistenti: le cellule chimeriche embrionali sono potenzialmente in grado di generare embrioni-chimera - e quindi feti - di cui non sappiamo nulla».
Questa eventualità è già capitata nel passato. Nel 1997 nuclei di cellule umane sono stati inseriti in ovociti di topo e l’incontro tra patrimonio genetico umano e animale si è ripetuto poi negli anni a venire con le mucche e i maiali. Le varianti sono molteplici. Ad esempio abbiamo quelle che, diversamente dalla qualificazione indicata in questo articolo, vengono indicate da alcuni ricercatori come chimere: esseri viventi ottenuti dalla fusione di due zigoti che possono appartenere alla stessa specie oppure a specie differenti [cfr. R.T. TECIRLIOGLU ET AL., Interspecies somatic cell nuclear transfer and preliminary data for horse-cow/mouse iSCNT, in «Stem Cell Rev.», n. 2 (2006), pp. 277-287]. Gli organismi transgenici sono invece organismi il cui patrimonio genetico contiene geni esogeni inseriti nel DNA nucleare, intatti o modificati. Gli ibridi invece sono organismi ottenuti dalla fusione di due gameti provenienti da due specie diverse [cfr. S. CAMPORESI - G. BONIOLO, Fearing a non-existing Minotaur? The ethical challenges of research on cytoplasmic hybrid embryos, in «J. Med. Ethics», n. 34 (2008), p. 821]. Nei cibridi, invece, la fusione non riguarda i gameti ma una cellula con nucleo e un ovocita denucleato: il patrimonio genetico finale di questa fusione deriva dunque dal nucleo per la massima parte e per una minima parte dai mitocondri dell’ovocita.
Insomma, già da molti anni i ricercatori giocano all’apprendista stregone. Il rischio maggiore, come accennato sopra, è quello di mischiare, come già avvenuto, patrimonio genetico umano con quello animale. In tal modo avremmo l’uomo mucca o l’uomo maiale o l’uomo scimmia, tanto per far piacere a Darwin. Tali esperimenti ci fanno concludere che, prima di creare l’uomo-bestia, l’uomo si è già fatto bestia.