BIOTECNOLOGIE
Scienziati in Vaticano: "No al rifiuto degli OGM"
Un documento pubblicato dalla Pontificia Accademia delle Scienze chiarisce gli aspetti scientifici delle biotecnologie vegetali.
- Quelle obiezioni pretestuose,
di G. Bertoni
Attualità
09_12_2010
Sulla questione degli Organismi Geneticamente Modificati (OGM) non rappresenta la posizione ufficiale della Santa Sede, come ha detto il portavoce vaticano padre Federico Lombardi, né si tratta di una dichiarazione ufficiale della Pontificia Accademia delle Scienze (PAS). Eppure il documento conclusivo della settimana di studio promossa dalla Pontificia Accademia delle Scienze nel maggio 2009 e pubblicato nei giorni scorsi rappresenta un passo importante per chiarire le fondamentali questioni scientifiche riguardanti l’uso dell’ingegneria genetica in agricoltura.
Il documento, Le piante transgeniche per la sicurezza alimentare nel contesto dello sviluppo, afferma con chiarezza che “in conformità con le recenti scoperte scientifiche, vi è un imperativo morale ad estendere ai poveri e alle popolazioni vulnerabili che li desiderano i benefici di questa tecnologia su più vasta scala e secondo condizioni che permetteranno loro di aumentare il tenore di vita, migliorare la salute e proteggere l’ambiente”.
Alla stesura del documento, ha partecipato il fisico Nicola Cabibbo, scomparso nell’estate 2010 e che all’epoca del convegno era presidente della Pontificia Accademia delle Scienze. I firmatari sono complessivamente 40, 7 dei quali membri dell’Accademia e 33 esterni. Tra i firmatari membri della Pontificia Accademia delle Scienze figurano: il prof. Werner Arber, (Università di Basilea), il prof. Nicola Cabbibo, il Cardinale Georges Cottier, il prof. emerito Ingo Potrykus (Swiss Federal Institute of Technology), il prof. emerito Peter H. Raven (Presidente del Giardino Botanico del Missouri), mons. Marcelo Sánchez Sorondo (Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze) e il prof. Rafael Vicuña (Pontificia Università Cattolica del Cile). Per completezza bisogna anche dire che la Pontificia Accademia delle Scienze aveva già pubblicato nel 2004 uno studio sul tema il cui approccio è perfettamente in linea con il documento pubblicato nei giorni scorsi.
Nell’introduzione al documento i firmatari affermano di avere “esaminato gli sviluppi recenti nelle conoscenze scientifiche riguardanti le varietà di piante geneticamente modificate e le condizioni sociali in cui la tecnologia dell’ingegneria genetica può essere resa disponibile per migliorare l’agricoltura in generale e, in particolare, per il beneficio dei poveri e delle persone più vulnerabili”. Sulla base delle riflessioni del magistero pontificio circa l'utilizzo delle nuove tecniche e tecnologie, i firmatari affermano che per alimentare adeguatamente la popolazione mondiale è necessario l’impiego dell’ingegneria genetica che può, in molte circostanze, “fornire un contributo essenziale alla produttività agricola tramite il miglioramento delle colture, compreso il potenziamento della resa agricola, il miglioramento delle qualità nutritive e un aumento della resistenza ai parassiti, oltre ad una maggiore tolleranza alla siccità e ad altre forme di stress ambientale”. Il documento spiega che “le colture geneticamente modificate possono essere molto importanti per agricoltori poveri di risorse e per i membri vulnerabili di comunità agricole povere, soprattutto donne e bambini” perché riducono largamente “l’uso degli insetticidi” e hanno contribuito ad un “sostanziale aumento della resa agricola e dei redditi delle famiglie e ad un abbassamento dei tassi di povertà (oltre a ridurre il numero di avvelenamenti da pesticidi chimici) nel settore delle piccole aziende agricole di vari paesi in via di sviluppo, tra cui l’India, la Cina, il Sudafrica e le Filippine”.
Gli OGM, quindi, non sono “la” soluzione al problema della denutrizione e delle malattie correlate, ma sono sicuramente un’opportunità importante per i Paesi in via di sviluppo, che sarebbe assurdo rifiutare in nome di posizioni ideologiche che poco hanno a che vedere con la realtà. E’ una posizione che accoglie anche le preoccupazioni dei vescovi africani, espresse nell’ Instrumentum Laboris del Sinodo africano (2009), legate soprattutto alla già esistente situazione di “ingiustizia” economica e commerciale di cui sono vittime gli agricoltori africani.
A questo proposito non è casuale il riferimento al magistero pontificio contenuto nel documento della PAS, perché esso ha già chiarito che “la visione cristiana della creazione comporta un giudizio positivo sulla liceità degli interventi dell’uomo sulla natura, ivi inclusi anche gli altri esseri viventi, e, allo stesso tempo, un forte richiamo al senso di responsabilità” (Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, no. 473). Peraltro tale “liceità dell’uso delle tecniche biologiche e biogenetiche non esaurisce tutta la problematica etica” perché – dice ancora il Compendio – “come per ogni comportamento umano è necessario valutare accuratamente la loro reale utilità nonché le loro possibili conseguenze anche in termini di rischi”.
Ed è proprio su queste valutazioni che il recente documento degli scienziati chiamati a raccolta dalla Pontificia Accademia delle Scienze dice una parola fondamentale.
Il documento, Le piante transgeniche per la sicurezza alimentare nel contesto dello sviluppo, afferma con chiarezza che “in conformità con le recenti scoperte scientifiche, vi è un imperativo morale ad estendere ai poveri e alle popolazioni vulnerabili che li desiderano i benefici di questa tecnologia su più vasta scala e secondo condizioni che permetteranno loro di aumentare il tenore di vita, migliorare la salute e proteggere l’ambiente”.
Alla stesura del documento, ha partecipato il fisico Nicola Cabibbo, scomparso nell’estate 2010 e che all’epoca del convegno era presidente della Pontificia Accademia delle Scienze. I firmatari sono complessivamente 40, 7 dei quali membri dell’Accademia e 33 esterni. Tra i firmatari membri della Pontificia Accademia delle Scienze figurano: il prof. Werner Arber, (Università di Basilea), il prof. Nicola Cabbibo, il Cardinale Georges Cottier, il prof. emerito Ingo Potrykus (Swiss Federal Institute of Technology), il prof. emerito Peter H. Raven (Presidente del Giardino Botanico del Missouri), mons. Marcelo Sánchez Sorondo (Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze) e il prof. Rafael Vicuña (Pontificia Università Cattolica del Cile). Per completezza bisogna anche dire che la Pontificia Accademia delle Scienze aveva già pubblicato nel 2004 uno studio sul tema il cui approccio è perfettamente in linea con il documento pubblicato nei giorni scorsi.
Nell’introduzione al documento i firmatari affermano di avere “esaminato gli sviluppi recenti nelle conoscenze scientifiche riguardanti le varietà di piante geneticamente modificate e le condizioni sociali in cui la tecnologia dell’ingegneria genetica può essere resa disponibile per migliorare l’agricoltura in generale e, in particolare, per il beneficio dei poveri e delle persone più vulnerabili”. Sulla base delle riflessioni del magistero pontificio circa l'utilizzo delle nuove tecniche e tecnologie, i firmatari affermano che per alimentare adeguatamente la popolazione mondiale è necessario l’impiego dell’ingegneria genetica che può, in molte circostanze, “fornire un contributo essenziale alla produttività agricola tramite il miglioramento delle colture, compreso il potenziamento della resa agricola, il miglioramento delle qualità nutritive e un aumento della resistenza ai parassiti, oltre ad una maggiore tolleranza alla siccità e ad altre forme di stress ambientale”. Il documento spiega che “le colture geneticamente modificate possono essere molto importanti per agricoltori poveri di risorse e per i membri vulnerabili di comunità agricole povere, soprattutto donne e bambini” perché riducono largamente “l’uso degli insetticidi” e hanno contribuito ad un “sostanziale aumento della resa agricola e dei redditi delle famiglie e ad un abbassamento dei tassi di povertà (oltre a ridurre il numero di avvelenamenti da pesticidi chimici) nel settore delle piccole aziende agricole di vari paesi in via di sviluppo, tra cui l’India, la Cina, il Sudafrica e le Filippine”.
Gli OGM, quindi, non sono “la” soluzione al problema della denutrizione e delle malattie correlate, ma sono sicuramente un’opportunità importante per i Paesi in via di sviluppo, che sarebbe assurdo rifiutare in nome di posizioni ideologiche che poco hanno a che vedere con la realtà. E’ una posizione che accoglie anche le preoccupazioni dei vescovi africani, espresse nell’ Instrumentum Laboris del Sinodo africano (2009), legate soprattutto alla già esistente situazione di “ingiustizia” economica e commerciale di cui sono vittime gli agricoltori africani.
A questo proposito non è casuale il riferimento al magistero pontificio contenuto nel documento della PAS, perché esso ha già chiarito che “la visione cristiana della creazione comporta un giudizio positivo sulla liceità degli interventi dell’uomo sulla natura, ivi inclusi anche gli altri esseri viventi, e, allo stesso tempo, un forte richiamo al senso di responsabilità” (Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, no. 473). Peraltro tale “liceità dell’uso delle tecniche biologiche e biogenetiche non esaurisce tutta la problematica etica” perché – dice ancora il Compendio – “come per ogni comportamento umano è necessario valutare accuratamente la loro reale utilità nonché le loro possibili conseguenze anche in termini di rischi”.
Ed è proprio su queste valutazioni che il recente documento degli scienziati chiamati a raccolta dalla Pontificia Accademia delle Scienze dice una parola fondamentale.