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PANDEMIA

Scienza e politica: chi comanda?

Dottrina sociale 09_04_2021

Quale rapporto c’è tra scienza e politica secondo una impostazione che si voglia rifare alla Dottrina sociale della Chiesa? La risposta può venire solo dalla definizione di cosa sia la scienza e cosa sia la politica. In particolare bisogna chiedersi quale sia il loro rapporto e, soprattutto, chi comandi.

Tra la scienza e la politica ci sono due elementi fondamentali di distinzione: la ipoteticità e la settorialità della scienza contro le caratteristiche contrarie della politica.

La scienza è ipotetica, ossia studia una serie di fenomeni che essa ha delimitato in base ad una ipotesi di partenza. Per ipotesi si intende qui un punto di partenza, un inizio, assunto senza essere dimostrato. Quel punto di partenza deve essere assunto senza dimostrazione perché per dimostrarlo la scienza dovrebbe uscire da se stessa. Per esempio il concetto di “vita” per la biologia, o il concetto di “società” per la sociologia sono assunti ipotetici, perché la definizione di cosa si debba intendere per vita o per società spetta ad altre discipline di ordine filosofico. Questo lo ammetteva anche Popper, anche se egli considerava (erroneamente) ipotetico non solo il sapere scientifico ma tutta la nostra conoscenza. Solo un’altra scienza ad essa precedente può dimostrare l’ipotesi di una scienza. La scienza infatti è un sistema chiuso a partire da dei punti di inizio a carattere operativo.

La operatività spiega la ipoteticità della scienza. La scienza deve conoscere e dominare i fenomeni di un certo ambito, quindi ha bisogno di definire quell’ambito appunto per poterlo conoscere e dominare, quindi ha bisogno di un punto di partenza capace di permetterle questo dominio. Naturalmente, la scienza può anche arrivare a comprendere che l’ipotesi assunta non era adatta e che deve essere riformulata, ma qui entriamo nel tema dello sviluppo della scienza che ci porterebbe piuttosto lontano. Importante è osservare che ipoteticità ed operatività si corrispondono.

Così dicendo abbiamo anche già accennato all’altro elemento: la settorialità della scienza. Ogni scienza si ritaglia il proprio ambito di fenomeni da studiare e di cui essere competente. Uno scienziato non è competente su tutto ma solo nell’ambito della sua scienza, un ambito – come già detto – delimitato dall’ipotesi di partenza.

Una conseguenza di queste osservazioni è che risulta inutile chiedere agli scienziati cosa sia utile fare per il bene comune. Essi non si occupano del bene comune, ma del funzionamento dei fenomeni dentro l’ambito circoscritto della loro scienza specifica. Per questo motivo la politica non deve chiedere alla scienza indicazioni in ordine al bene comune, ma semmai dati scientifici, di cui però bisogna sempre tenere presenta la ipoteticità di fondo.

Ora vediamo la politica. Questa non è un sapere né ipotetico né settoriale. Non è ipotetico, in quanto si fonda sull’ordine finalistico delle cose che la retta filosofia le indica. Non è settoriale perché, non essendo ipotetico, non si ritaglia nessuno spazio particolare, ma si rivolge al tutto. L’economista si occupa di economia, il giurista si occupa delle leggi, l’imprenditore dell’impresa … ma il politico non si occupa di niente di particolare, si occupa della vita buona del tutto. Il politico deve dare a ciascuno il suo senza nuocere al bene comune. Egli deve avere davanti – come diceva Platone – la totalità della tela da tessere, il suo sguardo deve essere indirizzato verso l’intero.

Egli, allora, ascolterà anche gli scienziati, naturalmente, come ascolterà gli operatori economici oppure le famiglie o le associazioni di categoria, ma non si farà dettare la politica da attuare da nessuno di essi, perché spetta solo a lui guidare verso il bene comune. La politica non è amministrazione di cose ma governo di persone, ossia guida verso il Bene.

Purtroppo nella attuale situazione di contagio, la politica non è mai stata veramente politica. Ha preso per oro colato i pareri di alcuni scienziati, oppure ha selezionato i pareri degli scienziati da accettare o meno ma non con criteri di vera politica bensì di convenienza, infine ha voluto assumere essa stessa il ruolo della scienza. Anche la scienza però non ha svolto il proprio ruolo come converrebbe: ha dimenticato di essere settoriale e ha preteso di fornire indicazioni politiche in ordine al bene comune, non ha accettato al proprio interno il dialogo che deriva dal suo carattere ipotetico ma ha assunto spesso posizioni dogmatiche, si è prestata a soluzioni strumentali a interessi di parte.