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LA TESTIMONIANZA

Sarah, la 17enne Down, nuova stella del mondo pro life

La canadese Sarah Joy Walker, affetta da trisomia 21 e venuta alla luce grazie agli ideali pro vita dei suoi genitori, ha raccontato per la prima volta la propria storia all’Alberta March for Life, manifestando l’auspicio di «diffondere la parola di Dio», in un mondo che fa finta di nulla davanti all’eliminazione seriale delle persone con sindrome di Down.

Vita e bioetica 16_05_2019

Se da un lato è vero che l’aborto legale fa di tutti i nati degli ultimi decenni, di fatto, dei sopravvissuti, dall’altro è indubbio come una categoria sia più esposta di altre alla soppressione prenatale: quella dei bambini Down.

I numeri, infatti, parlano chiaro: la percentuale dei nascituri con trisomia 21 cui è impedito di nascere è del 65% in Norvegia, del 90% nel Regno Unito, addirittura del 95% in Spagna, in Islanda sfiora ormai la totalità, mentre la Danimarca gioca da tempo a carte scoperte, finanziando tutti i test alle donne incinte per giungere, entro il 2030, ad essere il primo Stato al mondo «Down Syndrome free», macabro primato cui sta tendendo anche la citata Islanda. Negli Stati Uniti la situazione non è molto diversa, con la percentuale di nascituri abortiti perché Down oscillante tra il 67 e l’85%, secondo le stime di uno studio uscito nel 2012 sul Journal of Obstetrics and Gynecology. La decimazione dei disabili è dunque un fatto quanto mai reale, che si consuma da anni nell’indifferenza generale.

Per questo motivo appare particolarmente forte la testimonianza, resa nei giorni scorsi in Canada, alla Alberta March for Life, da Sarah Joy Walker. Sì, perché Sarah, che oggi ha 17 anni, non solo è affetta da trisomia 21, ma ha seriamente rischiato di essere abortita proprio per questa sua condizione. Infatti, appena due giorni dopo che Alisa Ketchum Walker, sua madre, aveva scoperto di aspettare una bambina Down, fu raggiunta da un’inquietante ed esplicita telefonata dall’infermiera: «Allora, quando ha intenzione di abortire?». Un’esperienza, ricorda oggi la signora Walker, «abbastanza scioccante, perché non mi fu neppure chiesto se per caso avessi intenzione di abortire o che cosa intendessi fare, no: fu dato per scontato che io dovessi ricorrere all’aborto».

Forte dei suoi ideali pro life e del sostegno del marito Joseph, un pastore anglicano, la donna non si fece però tentare dalla scorciatoia abortiva, decidendo di accogliere la piccola Sarah, che allora aveva cinque mesi, come aveva già fatto per i suoi due fratelli e per la sorella maggiore. Così la bambina è venuta al mondo e pochi giorni fa, il 9 maggio, ha raccontato pubblicamente la sua storia davanti a una platea che l’ha ascoltata con grande attenzione, e a cui ha esposto anche una testimonianza di fede. «Aver avuto l’occasione di parlare a questa marcia per la vita è una cosa per me pazzesca», ha dichiarato entusiasta l’adolescente, precisando che era la prima volta che usciva dal suo privato nell’auspicio non solo di raccontare la propria storia, ma anche «di diffondere la parola di Dio».

Quello che la giovane ha raccontato alla manifestazione pro life è l’esito di un percorso personale iniziato in realtà tempo addietro, precisamente nel 2016, alla Edmonton Christian West School, con un lavoro a cui Sarah aveva preso parte con entusiasmo. Ne era uscito un elaborato, significativamente intitolato «Sindrome di Down: una popolazione in via di estinzione», che aveva colpito molto gli insegnanti, i quali avevano chiesto alla loro studentessa di replicarne la presentazione in varie classi. Lo stesso pensiero fatto, evidentemente, dallo staff organizzatore della Alberta March for Life, che ha ritenuto opportuno e significativo un intervento come quello della giovane in un Paese in cui, giova ricordarlo, dal 1988 si può abortire senza alcuna restrizione legale, in qualsiasi mese della gravidanza, e in cui gli aborti sono un numero assai elevato, se si pensa che solo nel 2017, secondo quanto riferito dal Canadian Institute for Health Information, se ne sono conteggiati 94.030.

Quel che è certo, in tempi in cui il solo attivismo adolescenziale possibile pare quello di Greta Thunberg, è che una voce come quella della giovane Sarah scuote le coscienze. Quando infatti afferma - come ha fatto ad Alberta - che la vita è «un dono di Dio, dal concepimento fino all’ultimo respiro», questa adolescente, oltre a rompere il silenzio sul crimine dell’aborto, prende la parola a nome di milioni di esseri umani come lei. Persone che la cultura dominante a parole accoglie e celebra, ma solo una volta nate, ignorandone così l’eliminazione seriale che ha, ormai, il sapore dello sterminio.