Sanzioni, l'arma scelta da Trump. Ora tocca alla Russia
Gli Usa impongono nuove sanzioni anche alla Russia, per l'uso adi armi chimiche sul suolo britannico (per il tentativo di avvelenamento dell'ex agente Skripal). Ma la guerra economica funziona? E soprattutto, gli Usa possono permettersene così tante, dopo le sanzioni all'Iran e i dazi anti-Cina?
Subito dopo le sanzioni all’Iran e durante la guerra commerciale con la Cina, gli Usa impongono nuove sanzioni anche alla Russia. Il motivo del nuovo round di sanzioni a Mosca è l’avvelenamento dell’ex agente Skripal e di sua figlia a Salisbury, lo scorso marzo. Gli Stati Uniti hanno atteso che le indagini britanniche dessero risultati più chiari e dopo un secondo caso di avvelenamento, almeno accidentalmente correlato al primo, hanno rotto ogni indugio.
L’impatto che ha avuto l’annuncio delle sanzioni (che non sono ancora entrate in vigore) sull’economia russa non ha tardato a farsi sentire. Il rublo ha registrato la maggior perdita di valore negli ultimi due anni, perdendo il 5% rispetto al dollaro. Il Cremlino, ufficialmente, minimizza l’effetto sia politico che economico. La Russia, affermava ieri un portavoce, mantiene l’impegno di creare “relazioni costruttive con gli Stati Uniti”. Per ora non è stata annunciata alcuna contromisura. Anton Siluanov, ministro delle Finanze e vicepremier russo, assicura che la Banca centrale e il suo ministero stanno già prendendo le necessarie contromisure. “L’economia russa, la bilancia dei pagamenti negli ultimi anni, stanno diventando molto più resilienti agli eventi esterni, sia alle fluttuazioni del prezzo del petrolio, sia alle misure restrittive economiche”, dichiarava ieri all’agenzia Interfax. Ma l’impatto che l’annuncio ha avuto sul rublo e, in genere, sui titoli russi, suggerirebbe che proprio minimo l’effetto non sarà.
Le sanzioni appena annunciate dal Dipartimento del Tesoro statunitense colpiscono componenti elettroniche che possono essere impiegate per usi militari. Altre sanzioni introducono restrizioni all’accesso russo al mercato finanziario statunitense. Ma quello che il mondo del business russo teme di più è il paventato secondo round di sanzioni, che scatterebbe dopo 90 giorni se le richieste americane non dovessero essere soddisfatte. In quel caso sarebbe colpito le relazioni diplomatiche fra Usa e Russia verrebbero ridotte, sarebbero sospesi i voli fra Usa e Russia e verrebbero imposte restrizioni sull’importazione negli Stati Uniti di merci russe (prodotti agroalimentari esclusi), oltre a sanzioni finanziarie più pesanti. Per evitare queste sanzioni, appunto, la Russia dovrebbe rispondere positivamente alle principali richieste dell’amministrazione Trump: dimostrare di non usare più armi chimiche e batteriologiche, in modo definitivo e verificabile, anche con l’ammissione di ispezioni delle Nazioni Unite. Le sanzioni sono state imposte, infatti, non tanto per l’avvelenamento dell’ex agente russo in sé, ma perché, per avvelenarlo, sono state usate armi chimiche. Per di più in un territorio di un paese alleato. Le sanzioni sono scattate in base alla Legge per l’eliminazione dell’uso in guerra di armi chimiche e batteriologiche, in vigore dal 1991.
Queste misure restrittive si sommano ad altre che gli Usa hanno imposto alla Russia negli anni e nei mesi scorsi. Solo lo scorso giugno, per esempio, il dipartimento del Tesoro ha colpito cinque aziende e tre individui per un (ancora presunto) attacco informatico contro gli Stati Uniti. E dal 2014 restano in vigore le sanzioni statunitensi scattate dopo l’annessione della Crimea e lo scoppio della guerra in Ucraina orientale. Nonostante il disgelo annunciato da Trump, non sono state né sospese né annullate. La Duma russa, per bocca del partito di governo Russia Unita, accusa l’amministrazione Trump di usare il suo paese come un “sacco da boxe”, per motivi di politica interna: le elezioni di medio termine che si avvicinano e la necessità di levare un po’ di dubbi sull’inchiesta Russiagate (presunti contatti fra Trump e i russi per la sua elezione nel 2016). Tuttavia, anche se il momento politico facilita una politica dura nei confronti di Mosca, non va dimenticato che esistono motivi gravi e oggettivi per cui le sanzioni sono state applicate.
L’avvelenamento di Sergei Skripal e di sua figlia Yulia è avvenuto a marzo. I sospetti della polizia inglese sono ricaduti ben presto su agenti russi. Ad aprile, l’Opcw, l’associazione per l’eliminazione delle armi chimiche, dopo aver condotto la sua indagine in parallelo, ha confermato i sospetti britannici, affermando che l’agente chimico usato per l’avvelenamento è della classe Novichok ed è “purissimo”, quindi proveniente direttamente dagli arsenali russi, gli unici a conservarlo. Skripal e la figlia Yulia sono sopravvissuti all’attentato. Dopo mesi di cure sono tornati in libertà, ma in località segreta e protetti dalla polizia. In compenso, vittime inconsapevoli dello stesso piano, sono rimasti subito altri tre cittadini inglesi, la cui unica colpa era di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato. E la tragedia peggiore è capitata tre mesi dopo, il 30 giugno, quando sono rimasti intossicati altri due cittadini inglesi ad Amesbury, non lontano da Salisbury. Dawn Sturgess, una donna di 44 anni, è morta in ospedale, il suo compagno Charlie Rowley è sopravvissuto. Questo secondo avvelenamento ha permesso alla polizia britannica di scoprire il contenitore in cui il Novichok è stato introdotto in Gran Bretagna: una bottiglietta di profumo. E' da quella bottiglietta, che Sawn Sturgess credeva innocua, che è partito l'avvelenamento e probabilmente (essendo lo stesso tipo di arma chimica) faceva parte dello stesso piccolo arsenale introdotto e nascosto in Inghilterra. La settimana scorsa le indagini hanno avuto un’altra svolta: sono stati identificati due sospetti attentatori. Le autorità britanniche devono ancora decidere se chiedere o meno la loro estradizione alla Russia. In questo contesto, gli Usa non potevano non reagire.
Resta da chiedersi, piuttosto, quanto sia efficace la guerra economica. Soprattutto considerando che le nuove sanzioni russe sono state annunciate all’indomani del ritorno delle sanzioni all’Iran (per violazione dell’accordo sul nucleare) e al conseguente braccio di ferro con l’Ue, che invece ritiene ancora in vigore l’accordo con Teheran e intende proteggere le aziende europee che vogliano continuare a far business con la Repubblica Islamica. Come se non bastasse, giungono contemporaneamente all’annuncio di nuovi dazi nella guerra commerciale con la Cina (che Trump condanna per concorrenza sleale) su 16 miliardi di importazioni. E Pechino ha già annunciato una risposta di pari misura su prodotti di importazione statunitensi. La leva economica è l’arma prediletta da Trump. Può funzionare, ma ad una condizione essenziale: finché non si ritorcerà sul mercato statunitense. Il presidente americano, per ora, è convinto che gli effetti negativi siano sofferti solo dai suoi avversari.