Sant’Olimpia
Impiegò la sua ricchezza per opere di carità. Instaurò una santa amicizia con san Giovanni Crisostomo e, quindi, fu perseguitata negli ultimi anni di vita dai nemici del deposto patriarca orientale.
Le 17 lettere che le scrisse dall’esilio san Giovanni Crisostomo ben testimoniano la stima di cui godeva nella comunità cristiana sant’Olimpia (361-408), a sua volta perseguitata negli ultimi anni di vita dai nemici del deposto patriarca orientale. Nata da una nobile famiglia di Costantinopoli e rimasta orfana nell’infanzia, Olimpia fu affidata a Teodosia, una donna di riconosciuta cultura e pietà cristiana, che le trasmise l’amore per la Sacra Scrittura. La fanciulla crebbe fortificata dalle penitenze che offriva a Dio e intorno ai 23 anni sposò Nebridio, rimanendo vedova 20 mesi più tardi. L’imperatore Teodosio avrebbe voluto farla risposare con un suo cugino, ma lei rifiutò: «Se il mio Re avesse voluto che io vivessi con un uomo, non mi avrebbe tolto il mio primo». Indispettito, l’imperatore le sequestrò i beni, ma constatando la sua costanza nella virtù e la vita in povertà si pentì e cinque anni dopo le restituì tutto.
Olimpia impiegò subito la sua ricchezza per opere di carità, facendo costruire un ospizio per religiosi di passaggio. Si era al tempo del patriarca Nettario, che la nominò diaconessa. La vedova fondò poi un monastero, dove - attratte dal suo esempio - entrarono molte giovani appartenenti alla nobiltà di Costantinopoli: in poco tempo il loro numero arrivò a 250. Quando Giovanni Crisostomo venne chiamato in città e consacrato patriarca, si instaurò una santa amicizia tra lui e Olimpia, che l’arcivescovo prese sotto la sua direzione spirituale, mentre denunciava la licenziosità dei potenti, la mondanità e la mollezza nella fede di buona parte di Costantinopoli, attirandosi ostilità sia a corte (dove nel frattempo si era insediato l’imperatore Arcadio, con la moglie Eudossia) sia tra alcuni membri del clero. In questa fase Olimpia fece edificare un ospedale e un orfanotrofio, sempre sostenendo l’azione di rinnovamento morale e spirituale del Crisostomo, da lei aiutato nei modi più umili, dal cibo al vestiario.
Quando Giovanni fu definitivamente esiliato da Costantinopoli nel 404, Olimpia - assieme ad altri fedeli - fu accusata ingiustamente dell’incendio di una chiesa e della sede vescovile. Rifiutò il compromesso che le era stato offerto dal prefetto per essere lasciata in pace, ossia l’accettazione dell’usurpatore Arsazio come nuovo patriarca, e per questo fu condannata a pagare una multa e decise poi di ritirarsi a Cizico. Ma in seguito, con il proseguimento della persecuzione nei confronti dei “giovanniti”, fu processata una seconda volta ed esiliata a Nicomedia.
Qui morì nel 408, un anno dopo il Crisostomo, con il quale si era mantenuta in contatto epistolare ricevendo conforto e incoraggiamento a perseverare nella fede: «Non rinuncio a una salda speranza - le scrisse l’amico in una lettera - perché penso al Timoniere dell’universo, che […] tiene questo atteggiamento di non sopprimere i mali al loro sorgere ma quando si sono accresciuti giungendo quasi al culmine e i più hanno perso ogni speranza: è allora che interviene con straordinari prodigi, manifestando la propria potenza ed esercitando la pazienza di coloro che cadono».