Santi camilliani, un albero esteso fino ai nostri giorni
Ascolta la versione audio dell'articolo
«Più cuore nelle mani», esortava san Camillo de Lellis per insegnare che non basta fare la carità per vivere il Vangelo, ancora più importante è lo spirito col quale la si fa. Ne è scaturito un ordine religioso ma anche una lunga e multiforme storia di santità.
Un seme che diviene albero, forte e robusto, con innumerevoli fronde, tutte di diversi colori: in questa immagine metaforica si potrebbe scorgere tutta la sequela dei santi e beati della Famiglia camilliana. Il “seme” è, senza dubbio, san Camillo de Lellis (25 maggio 1550 - 14 luglio 1614), fondatore dell’ordine dei Ministri degli Infermi (i Camilliani), del quale domani verrà celebrata la memoria liturgica. Le verdeggianti fronde possono rappresentare i volti e le biografie di santità nate da quel primo seme.
«Dal secolo XVI, in cui è nato e vissuto san Camillo, ad oggi, il carisma della carità misericordiosa verso gli ammalati che Camillo de Lellis ha ricevuto da Dio ed ha trasmesso alla Chiesa, si è arricchito attraverso l’apporto di molte persone significative, ciascuna delle quali ha arricchito il disegno originario del Fondatore dei Ministri degli Infermi, aggiungendovi nuove sfumature originali» (P. Angelo Brusco, in Camilliani/s, n. 80, anno VIII – settembre-ottobre 1994). È ormai rimasta famosa l’esortazione che il santo fondatore rivolgeva ai primi compagni camilliani: «Più cuore nelle mani». Non basta fare la carità, essere vicino al prossimo, per vivere il Vangelo. San Camillo de Lellis parla di cuore: sottolinea quanto sia importante lo spirito con il quale si fa carità. E sarà proprio questo cuore a essere al centro delle azioni, delle preghiere delle innumerevoli figure camilliane di santità. Ma chi sono questi volti che hanno fatto grande l’ordine dei Ministri degli Infermi?
Iniziamo questa veloce carrellata con una donna: santa Giuseppina Vannini (7 luglio 1859 - 23 febbraio 1911), la fondatrice della congregazione delle Figlie di San Camillo, il ramo femminile dell’ordine. Giuditta Adelaide Agata, questi i nomi di battesimo della futura santa, nacque a Roma, il 7 luglio 1859. Il giorno seguente venne battezzata in una chiesa dalla storia importante: Sant’Andrea delle Fratte, la chiesa dell’apparizione della Vergine all’ebreo Ratisbonne avvenuta pochi anni prima, il 20 gennaio 1842. Giuditta vive un’infanzia infelice: a quattro anni divenne orfana del padre e tre anni dopo della mamma. Giuditta venne, dunque, accolta nel Conservatorio Torlonia in Roma, un orfanotrofio retto dalle Figlie della Carità di San Vincenzo De Paoli. È l’incontro con l’educazione cattolica. I suoi studi la portarono a conseguire il diploma di maestra d’asilo e a ventuno anni chiese di entrare nel noviziato delle Figlie della Carità a Siena. Ma poco dopo ritornò a Roma per motivi di salute e per un periodo di prova. Anno cruciale per la sua biografia: il 1891. È in quest’anno che incontrò il beato Luigi Tezza, camilliano, che stava conducendo degli esercizi spirituali ai quali la stessa Vannini stava partecipando. Il religioso, pochi mesi prima, aveva avuto l’incarico di ripristinare le Terziarie Camilliane. L’incontro con la Vannini fu determinante. Voleva lei alla guida di un nuovo organo femminile che potesse dare nuova linfa all’ordine. Il primo nucleo del nuovo istituto religioso femminile fu costituito il 2 febbraio 1892 quando a Giuditta Vannini (assieme a Vittorina Panetta ed a Emanuela Eliseo) nella ricorrenza della conversione di San Camillo, le venne imposto lo scapolare cammilliano: era l’atto di nascita di una nuova famiglia religiosa. Il 19 marzo successivo Giuditta vestì l’abito religioso: divenne suor Maria Giuseppina, ricoprendo il ruolo di madre superiora dello stesso istituto. Accanto agli ultimi, ai sofferenti nel corpo e nello spirito: è Giuseppina Vannini, beatificata da san Giovanni Paolo II nel 1994 e proclamata santa da papa Francesco nel 2019.
«Il ministro degli infermi dev’essere un uomo che si avvicina ad un suo fratello, che ha bisogno di aprire il cuore alla speranza di un domani migliore, che deve essere capito e sostenuto in questo sforzo di apertura ai traguardi del tempo che finisce, ma anche su quelli dell’eternità, che non finisce mai». Questa frase di san Camillo de Lellis fu il programma di vita del beato Enrico Rebuschini (28 aprile 1860 - 10 maggio 1938). Secondo di cinque figli, Rebuschini, a 18 anni, cominciò un cammino vocazionale. Di contro, ebbe la famiglia, non favorevole al suo cammino spirituale. Tuttavia a 24 anni riuscì a entrare in seminario a Como dove si distinse, fin da subito, per qualità umane ed intellettuali tanto da essere mandato a studiare successivamente al Collegio Lombardo di Roma. Nella Città Eterna frequentò gli studi teologici presso la prestigiosa Università Gregoriana. L’amore per l’ordine camilliano nacque grazie alla sua particolare attenzione verso gli ammalati: a 27 anni, decise di presentarsi al noviziato dei Camilliani a Verona. Con una particolare dispensa, durante il biennio di noviziato, venne ordinato sacerdote dal vescovo di Mantova, monsignor Giuseppe Sarto (futuro papa san Pio X), il 14 aprile 1889. Per un decennio svolse il suo ministero a Verona, dapprima come vice maestro e insegnante dei novizi; poi l’impegno negli ospedali: in quello militare (dal 1890 al 1895) e in quello civile (dal 1896 al 1899) della città veneta. Il 1° maggio 1899 giunse a Cremona, nella “Casa di cura San Camillo”, dove rimarrà fino alla morte. Il 10 maggio del 1938 saliva in Cielo. Venne proclamato beato da san Giovanni Paolo II il 4 maggio 1997.
Anche i giorni più vicini a noi ci donano bellissime testimonianze di santità: è il caso del venerabile Nicola D’Onofrio (24 marzo 1943 - 12 giugno 1964), che visse la malattia (aveva riscontrato un tumore a soli 19 anni) con uno spirito cristiano che potrebbe definirsi eroico. «Io sono molto contento di poter soffrire un pochino adesso che sono giovane, perché questi sono gli anni più belli per offrire (qualcosa) al Signore»: in queste parole tutta la sua forza. Una forza che riuscì a incanalare nel suo servizio agli ammalati, suoi fratelli e sorelle in Cristo. La sequela sarebbe ancora più vasta. Solo alcuni nomi: la beata Maria Domenica Brun Barbantini (17 gennaio 1789 - 22 maggio 1868), fondatrice delle Ministre degli Infermi di San Camillo, e la venerabile Maria Aristea Ceccarelli (5 novembre 1883 - 24 dicembre 1971), espressione della santità laicale, dello spirito camilliano vissuto in famiglia.