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Sant’Elena

Fu la madre dell'imperatore Costantino, ma aveva origini umili. A lei si deve il ritrovamento della Vera Croce, nonché la costruzione della basilica della Natività a Betlemme e quella dell'Ascensione sul Monte degli Ulivi

Santo del giorno 18_08_2021 English Español

Sant’Elena (c. 249-329), celebre per essere stata la madre dell’imperatore Costantino e la donna ricca di fede che ritrovò la Vera Croce, aveva origini umili. Secondo il resoconto di sant’Ambrogio (340-397), era una buona stabularia, in pratica una locandiera che doveva avere anche cura delle stalle. Si ritiene che fosse nata in Bitinia, nell’antica Drepanum, città che il figlio chiamò poi in suo onore Elenopoli. Fu forse durante un passaggio in quelle terre che un militare di carriera, Costanzo Cloro, si invaghì di lei e la prese in moglie (o come concubina), generando Costantino, loro unico figlio. L’inizio del periodo della tetrarchia (293-305) sconvolse la vita della donna, soggetta a un’umiliazione. Quando Costanzo Cloro divenne cesare dell’imperatore d’Occidente Massimiano, che gli diede in moglie la figliastra Teodora, decise infatti di ripudiare Elena, allontanandola da casa. Allora il giovane Costantino venne inviato alla corte di Diocleziano, imperatore d’Oriente.

Non si sa di preciso come la futura santa visse quegli anni di nascondimento, ma è possibile che stette vicino al figlio, pur senza vivere a corte. Nel 306, alla morte del padre, Costantino fu proclamato dai soldati imperatore d’Occidente. Sei anni più tardi arrivò per Costantino la vittoria su Massenzio nella battaglia di Ponte Milvio, preceduta dalla celebre visione della croce luminosa e di una scritta profetica (In Hoc signo vinces, nella traduzione in latino). Con l’editto di Milano (313) il cristianesimo ottenne il definitivo riconoscimento della libertà di culto, dopo le lunghe campagne persecutorie dei tre secoli precedenti. Difficile stabilire se fu l’imperatore a far avvicinare la madre alla fede cristiana, come scrisse Eusebio di Cesarea nella sua Vita di Costantino (337), o viceversa, come sostenne in seguito sant’Ambrogio. Ma è certo che Elena non si fece ingannare dai lussi e dai privilegi imperiali, nemmeno dopo che il figlio le diede il titolo di Augusta, facendo coniare delle monete con la sua immagine.

Lei diede invece prova di grande devozione e carità. Soccorse i poveri con vestiti e donazioni in denaro, li invitò spesso a pranzo e li servì, liberò alcuni prigionieri da un’ingiusta oppressione. Andava in chiesa con abiti modesti, da semplice fedele. Nel 326 avvenne l’intricata e ancora oscura tragedia familiare che ebbe per protagonista in negativo Costantino, mandante dell’assassinio del primogenito Crispo e poi della seconda moglie Fausta. Verso quel periodo, ormai al tramonto della sua vita terrena, Elena intraprese un pellegrinaggio penitenziale in Terrasanta, presumibilmente anche per impetrare la grazia del pentimento in favore del figlio. L’imperatrice pellegrina si adoperò (come riferiva già Eusebio) per far costruire la basilica della Natività a Betlemme, presso la grotta dov’era nato Gesù, e quella dell’Ascensione sul Monte degli Ulivi.

Per tutto il tempo in Terrasanta collaborò con il vescovo san Macario di Gerusalemme. Fece distruggere un tempio pagano che sorgeva sul Calvario. E dopo gli scavi, che riportarono alla luce il Santo Sepolcro, ritrovò la Croce su cui era stato crocifisso Gesù, insieme al Titulus Crucis con la sua triplice iscrizione in latino, ebraico e greco (Gv 19, 19-22), i chiodi della crocifissione e le croci dei due ladroni. Promosse quindi l’edificazione della basilica del Santo Sepolcro, composta dalle chiese del Martyrion e dell’Anastasis (Risurrezione). Le reliquie della Vera Croce vennero distribuite in vari luoghi della cristianità, come attestano intorno al 348-350 le Catechesi di san Cirillo di Gerusalemme («tutta la Terra è piena delle reliquie della Croce di Cristo»). Le testimonianze più antiche su come avvenne l’identificazione della Vera Croce si hanno negli scritti di Socrate Scolastico (c. 380-440), Sozomeno (c. 400-450) e Teodoreto di Cirro (c. 393-457), con versioni molto simili, fondate su una consolidata tradizione.

Questo il resoconto di Teodoreto: «Quando l’imperatrice scorse il luogo in cui il Salvatore aveva sofferto, immediatamente ordinò che il tempio idolatra che lì era stato eretto fosse distrutto, e che fosse rimossa proprio quella terra sulla quale esso si ergeva. Quando la tomba, che era stata così a lungo celata, fu scoperta, furono viste tre croci accanto al sepolcro del Signore. Tutti ritennero certo che una di queste croci fosse quella di Nostro Signore Gesù Cristo, e che le altre due fossero dei ladroni che erano stati crocifissi con Lui. Eppure non erano in grado di stabilire a quale delle tre il Corpo del Signore era stato portato vicino, e quale aveva ricevuto il fiotto del Suo prezioso Sangue. Ma il saggio e santo Macario, governatore della città, risolse questa questione nella seguente maniera. Fece sì che una signora di rango, che da lungo tempo soffriva per una malattia, fosse toccata da ognuna delle croci, con una sincera preghiera, e così riconobbe la virtù che risiedeva in quella del Signore. Poiché nel momento in cui questa Croce fu portata accanto alla signora, essa scacciò la terribile malattia e la guarì completamente».