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LA MEMORIA

Sant’Antonio Abate e gli animali, storia di un legame

Il riferimento al maiale manca nella biografia del famoso eremita scritta nel 357 dal contemporaneo Atanasio, suo discepolo. Esso si lega invece alla nascita, sul finire dell’XI secolo, dei “Canonici regolari di sant’Antonio di Vienne”. Un fatto che diede nuovo impulso alla devozione per sant’Antonio Abate e alla sua iconografia.

Ecclesia 17_01_2023

Ciò che conosciamo della vita di sant’Antonio Abate (251-356), del quale oggi ricorre la memoria liturgica, è custodito soprattutto nelle pagine della Vita Antonii, scritta nel 357 da sant’Atanasio, vescovo di Alessandria, suo amico e discepolo, che lo descrisse come grande combattente contro gli attacchi del demonio. Una biografia ricca di aneddoti, di episodi, di storie, che manifestano la profonda spiritualità di sant’Antonio.

Ma ci sono pervenuti anche altri testi antichi che ci parlano del santo. Tra questi, la Vita Pauli (Vita di San Paolo eremita) di san Girolamo (IV-V secolo); la Legenda Aurea, raccolta medievale di biografie agiografiche composta da Jacopo da Varazze; e tante altre pagine che hanno alimentato la popolarità del santo. Sono questi i testi in cui «la figura dell’asceta muta e si rinnova, diventando sia il patrono di una comunità di canonici regolari, in Occidente, sia, in Egitto, in Siria, in Libano, a Cipro e in tutti i possedimenti dell’impero bizantino, il santo eponimo di numerose congregazioni di stampo semi-eremitico» (Laura Fenelli, Da Cipro alla Spagna, dall’arabo al latino: la Tentatio sancti Antonii di Alfonso Buenhombre in Coexistence and Cooperation in the middle ages, a cura della Fédération Internationale des Istituts d’Études Médiévales, 2009, Palermo). Ma, allora, da dove nasce l’immagine di Antonio Abate con accanto un maiale e protettore degli animali domestici?

Una delle più raffinate immagini del santo assieme al suino rimane quella conservata al Castello Sforzesco di Milano, proveniente dalla cappella del Castello di Torrechiara: è il polittico Madonna con Bambino in trono e angeli musicanti, opera di Benedetto Bembo (1423 ca.-1489), nella quale il santo - ritratto con san Nicomede, santa Caterina d'Alessandria, san Pietro Martire e gli Apostoli - è appoggiato al fedele bastone a forma di “T” con ai suoi piedi un maialino cinto da una fascia bianca.

Per trovare un primo riferimento all’animale, bisogna cercare nelle città europee che sono state sedi dei priorati antoniani; in coloro, cioè, che seguirono le orme spirituali di Antonio Abate: furono, infatti, i canonici regolari di sant’Antonio Abate ad avere l’abitudine di allevare maiali in quelle città in cui prendevano dimora. Nella citata Vita Antonii di sant’Atanasio, dunque, non vi è nessun passaggio in cui si fa riferimento al maiale che farà invece la sua comparsa nell'iconografia dalla metà del 1200. Gli animali citati nel testo del vescovo di Alessandria sono altri, come i leoni, gli orsi, i leopardi, i tori, i serpenti, le vipere, gli scorpioni e, in ultimo, i lupi: tutte «forme» diverse per rappresentare l’assalto del maligno, a cui Antonio rispose con coraggio: «Se aveste qualche potere, sarebbe stato sufficiente che ne venisse uno solo. Ma il Signore vi ha reso impotenti, per questo cercate di spaventarmi venendo in tanti. È segno della vostra debolezza il fatto che imitiate le forme di bestie prive di ragione». Ecco il coraggio della fede, l’impotenza del demonio di fronte a chi confida in Dio: questa la grande lezione spirituale di sant’Antonio Abate.

Come sfondo all’immagine di Antonio con accanto il maiale, è dunque necessario fare riferimento a quei cristiani ispirati dal santo anacoreta che si chiameranno “Canonici regolari di sant'Antonio di Vienne”: il nome si deve alla cittadina della Francia dove, nel 1095, sorse una comunità laicale - costituita da alcuni nobili - capeggiata da un blasonato di nome Gastone che, avendo ottenuto da sant’Antonio la grazia della guarigione per il figlio ammalato di ergotismo, decise di ringraziarlo dedicandosi alla cura degli ammalati. Nacque così questa comunità ospedaliera che da quel momento in poi curerà gli ammalati del cosiddetto “fuoco sacro” (ergotismo); si trattava - maggiormente - di ammalati che si recavano in pellegrinaggio verso La Motte St. Didier (l’attuale Saint-Antoine-l’Abbaye), località in cui erano giunte dall’Oriente le reliquie dell’eremita taumaturgo.

Ed è proprio la suddetta storia che va ad intrecciarsi con quella del maiale. Papa Urbano II (1088-1099) - che aveva approvato il nuovo ordine, confermato poi da papa Onorio III con una bolla del 1218 - accordò agli Antoniani di allevare maiali per uso proprio e per le spese della comunità; così gli animali potevano circolare liberamente e al loro collo era messa una campanella di riconoscimento che diverrà, a sua volta, un altro simbolo attribuito al santo dalla devozione popolare. Ed è anche a seguito della possibilità di allevare maiali da parte degli Antoniani che si deve l’immagine di Antonio protettore degli animali domestici.

Ma c’è anche altro. Secondo alcune interpretazioni, sarebbe il grasso dei maiali il rimedio al cosiddetto “fuoco sacro” (chiamato poi, appunto, “fuoco di sant’Antonio”, in medicina virus dell'Herpes Zoster): grazie a un unguento realizzato dalla cotenna di maiale, i canonici di sant’Antonio riuscivano a guarire i malati che si recavano a chiedere aiuto al santo.

Nell’intreccio di fatti e leggende relativi a sant’Antonio, troviamo il maiale al centro anche di un altro episodio, riportato tra l’altro nella Tentatio sancti Antonii, traduzione latina - ad opera del domenicano Alfonso Buenhombre (1341) - di una storia racchiusa molto probabilmente in un testo arabo: nella Tentatio si fa riferimento a un miracoloso viaggio di Antonio in Spagna. I motivi della traversata sono: convertire alla fede cristiana il re di Barcellona e liberare la sua famiglia da alcuni demoni che la insidiano. Ritorna, ovviamente, il tema dell’Antonio difensore della fede e combattente contro il diavolo. Ma in questo racconto, a un certo punto, entra nuovamente in scena l’animale dalla coda a ricciolo: viene raccontato un episodio in cui Antonio guarisce un porcellino cieco e claudicante che una scrofa aveva deposto ai suoi piedi.

In sintesi, tra sant’Antonio Abate e gli animali vi è un legame che dal Duecento circa costituisce un topos narrativo e iconografico. Da tutto ciò nasce la tradizionale benedizione degli animali che avviene ogni 17 gennaio. A tal proposito, Goethe, nel suo Viaggio in Italia, offrì una descrizione suggestiva (datata 1787) di tale avvenimento, al quale aveva assistito nel Belpaese: cavalli e muli, «stupendamente ornati di nastri intrecciati alla coda ed alla criniera», vengono portati davanti a un sacerdote benedicente da rendere così «gli animali immuni da ogni disgrazia».