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IL DUELLO/13

Sant'Agostino, la presenza assente nel viaggio di Dante

Sant’Agostino, uno dei più importanti padri della Chiesa, non compare mai come personaggio nella Divina Commedia. Viene, al massimo, solo nominato nell'Empireo del Paradiso. Ma la sua filosofia è presente ovunque, come fonte di ispirazione del Sommo poeta. 

Cultura 11_04_2021
Philip Veit: Paradiso

Sant’Agostino, uno dei più importanti padri della Chiesa, grande scrittore, filosofo, autore, tra le altre opere, delle Confessioni e del De civitate Dei, non compare come personaggio, descritto o in dialogo con Dante viator, ma viene solo nominato. Dante non ha dedicato a sant’Agostino un luogo privilegiato, come per san Francesco, san Domenico, san Benedetto e tanti altri. Non gli ha riservato un ruolo nel suo viaggio in Paradiso, non ha avuto modo di discorrere con lui o di descriverlo, non l’ha fatto diventare personaggio parlante del suo viaggio.

Qual è allora l’importanza di sant’Agostino nella vita e nell’opera di Dante? Nel quarto Cielo del Sole (canto X) il nome di sant’Agostino viene solo nominato in riferimento a Paolo Orosio:

Ne l’altra piccioletta luce ride

quello avvocato de’ tempi cristiani

del cui latino Augustin si provide.

San Tommaso sta presentando alcune anime di sapienti e filosofi medioevali tra cui compare lo storico Paolo Orosio del V Secolo, autore dei Historiarum libri VII adversus Paganos, che Agostino cita nel De civitate Dei per sostenere la sua tesi. Ma il ruolo che Dante riserva a sant’Agostino nella storia dell’umanità, della cultura e della Chiesa è davvero irrilevante?

Per capirlo saliamo fino all’Empireo a contemplare la Candida Rosa ove sono collocati tutti i santi. Su invito di San Bernardo, Dante innalza gli occhi e vede una bellezza celestiale, circondata da «più di mille angeli festanti». La bellezza della Madonna è «letizia/ […] ne li occhi a tutti li altri santi», cioè si riflette come letizia negli occhi dei beati. L’ardore e il desiderio di san Bernardo sono tali che si comunicano a Dante che sempre più brama di guardare Maria. I santi appaiono finalmente con il loro volto e l’immagine fisica, fulgidi e splendenti per la purezza che li contraddistingue, seduti su troni. Al centro e nel punto più alto dell’anfiteatro siede come in trono la Madonna, colei che è stata strumento della redenzione del peccato originale.

In qualità di maestro san Bernardo presenta la disposizione dei santi nella Candida Rosa. Ai piedi di Maria si trova Eva, colei che provocò la ferita del peccato originale. Sul terzo ordine di gradini siedono Rachele e Beatrice. Dalla parte opposta della Rosa, allo stesso livello di Maria, vediamo in ordine a partire dall’alto prima san Giovanni Battista, il più grande tra i nati da donna, descritto qui come ricolmo di Spirito Santo fin dall’utero della madre e rimasto nel Limbo per due anni fino alla discesa di Cristo agli Inferi. Sul secondo e sul terzo gradino si trovano rispettivamente san Francesco e san Benedetto: il primo è descritto nel canto XI, il secondo nel canto XXII (multiplo di undici), collocati rispettivamente a conclusione della prima e della seconda parte del Paradiso. La loro disposizione nella Candida Rosa è un’ulteriore conferma dell’importanza notevole che Dante attribuisce loro. In quarta posizione incontriamo sant’Agostino. Questa collocazione attesta che, anche se il santo non è divenuto personaggio che dialoga con Dante viator, ha comunque un ruolo importante nella formazione culturale e religiosa del del Sommo poeta.

Francescani, Benedettini, Domenicani e Agostiniani sono i più importanti ordini attivi all’epoca di Dante. Negli anni successivi alla morte di Beatrice (1290) Dante si forma presso Santa Maria Novella, sede dei Domenicani, Santa Croce, sede dei Francescani, dove si leggevano opere di Sant'Agostino e dei mistici (San Bernardo, Ugo e Riccardo da san Vittore, S. Bonaventura) e la Scuola di Santo Spirito, sede degli Agostiniani. Dante conosce bene il pensiero di sant’Agostino. All’interno dei suoi versi sono presenti richiami inaspettati ai testi del grande santo. Già in apertura dell’Inferno, quando Virgilio si presenta con un’agnizione

  Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,

e vissi a Roma sotto ‘l buono Augusto

nel tempo de li dèi falsi e bugiardi.

            (Inferno I, vv. 70-72)

L’espressione «dèi falsi e bugiardi» riprende «deos falsos fallacesque» (De civitate Dei, libro II). Nell’epoca medioevale i testi dei Padri della Chiesa e dei mistici erano conosciuti bene, costituivano la base della cultura, a differenza di quanto accade oggi. Un altro esempio di ripresa di sant’Agostino è riscontrabile nel canto XXIV del Purgatorio. Nella sesta balza dei golosi il poeta lucchese Bonagiunta Orbicciani da Lucca riconosce la superiorità della poesia dantesca: «Ma di’ s’i’ veggio qui colui che fore/ trasse le nove rime cominciando/ “Donne ch’avete intelletto d’amore”». A questo punto Dante sottolinea la genesi del suo atto poetico: lui prende appunti e annota nella mente solo quando accade un incontro d’amore e poi esprime in versi quanto amore gli detta nel cuore. Allora, preso da stupore, Bonagiunta può finalmente affermare di aver colto la differenza tra i versi della lirica siciliana (emblematicamente rappresentata dalla figura del Notaro), della lirica siculo-toscana (stigmatizzata nel nome di Guittone d’Arezzo) e del Dolce Stil Novo. La differenza è chiara e non complessa da definire per il Bonagiunta: «Le vostre penne/ dietro al dittator sen vanno strette/ che della nostra certo non avvenne».

Nelle Enarrationes in psalmos (al commento del salmo 21) sant’Agostino scrive: «Vuoi vedere come sia il tuo amore? Osserva a che cosa ti spinge. Non vi esortiamo, quindi, a non amare, ma a non amare il mondo, affinché possiate amare con libertà Colui che ha creato il mondo. Un’anima irretita dall'amore terreno è come se avesse del vischio nelle penne: non può volare. Quando invece è pura da quegli affetti luridi che l’attaccano al mondo, può - per così dire- volare con ambedue le ali spiegate: le sue ali sono libere da ogni impedimento».

Lo studioso Lino Pertile ha studiato la presenza dell’agostinismo nella Commedia evidenziando come l’amore per la sintesi e la riflessione sulla natura del male provengano in Dante proprio dal sant’Agostino. Nel canto II dell’Inferno Dante ha paura di iniziare il viaggio:

E quale è quei che disviuol ciò che volle
e per nuovi pensier cangia proposta
sì che dal cominciar tutto si tolle»

Allo stesso modo nelle Confessioni (libro V) sant’Agostino scrive: «Il mio cuore era spinto ora in una direzione, ora in direzione contraria». Influenze agostiniane si avvertirebbero anche nella forte emotività del Dante viator incline a passare dal dolore alla gioia, nella veemenza delle invettive e degli improperi danteschi, nell’idea dell’indispensabilità dell’impero romano per la pacificazione universale, nella tendenza a ricavare esempi non solo dagli animali nobili, ma anche da quelli più bassi come porci, mosche, tafani, pulci (Confessioni, libro X, cap. XXXV).