Sanità, vaccini e finalismo della natura
Chi desidera assumere la visione della Dottrina sociale della Chiesa per vedere la realtà e intervenire in modo adeguato su di essa, non può assumere la visione oggi prevalente del determinismo, ma quella propria della filosofia cristiana del finalismo.
Il determinismo dice che tutto è causato da dietro. Il finalismo sostiene che tutto è attratto da davanti. Per il primo la realtà è frutto della necessità di meccanismi precedenti, per il secondo ogni realtà tende ad un proprio fine. Nel primo tutto è mosso, nel secondo tutto si muove. La cultura dominante ci impedisce di pensare secondo il finalismo e di considerare noi stessi, le altre persone, la natura … come un’”opera da compiere” secondo il finalismo intrinseco a tutte queste realtà. Ogni realtà è quella realtà lì e non altra, ha quindi una sua natura che le impone (per le realtà infraumane) o le propone (all’uomo libero) il suo fine.
L’espressione “fare questo è una inclinazione naturale” assume quindi due significati diversi: per il determinista significa che si tratta di un comportamento dettato da meccanismi precedenti e ineludibili che sono solo da soddisfare; per il finalista l’espressione vuol dire tendere al fine proprio della propria natura e orientare il nostro agire ad esso anche se questo vuol dire dominare o addirittura soffocare le inclinazioni del primo genere. Per l’uomo un comportamento non è “naturale” perché lo fanno anche gli animali, ossia perché è la conseguenza necessaria di una serie di impulsi che si determinano l’un l’altro, ma è “naturale” proprio perché altro dal comportamento naturalmente istintivo degli animali.
La Dottrina sociale della Chiesa ha quindi bisogno del finalismo come proprio retroterra filosofico. All’inizio dell’età moderna, quando i nuovi teorici della vita politica, come per esempio Thomas Hobbes, iniziarono nuovi percorsi diversi dalla tradizione classica, il finalismo fu rifiutato. Per Hobbes, gli uomini nello stato di natura sarebbero come degli atomi che cozzano gli uni contro gli altri, dominati appunto dal determinismo naturale che impedisce loro di riscontrare nella vita alcuna regola e che trasforma la loro esistenza in una guerra tra istinti, una continua prova di forza ma non in vista di un fine da raggiungere o un valore da difendere bensì solo come espressione di spinte materiali. Da allora la società non è più stata vista come un “ordine finalistico”, sicché anche il potere politico è stato considerato solo come un potere più forte degli altri, non più giusto ma solo più forte.
Oggi sono molti gli ambiti in cui il finalismo ha ceduto il passo al determinismo. Ogni impulso (naturale) è considerato un diritto; ogni potere determinato quantitativamente (per esempio dal voto) è considerato legittimo; ogni agire economico è visto come frutto non di virtù (si rilegga la Centesimus annus al n. 32) ma di interesse materialmente inteso; l’ecologia è vista come un ritorno alla primitività istintuale della immedesimazione nella natura; le politiche vengono intese come interventi centralizzati per modificare meccanicamente i comportamenti dei cittadini. Se la natura è una macchina, anche la politica diventa una macchina.
Un caso interessante del passaggio dal finalismo al determinismo nella nostra epoca è la questione sanitaria e in particolare quella relativa ai vaccini. Qui si scontrano due visioni della natura: quella iniziata con Kant che esclude dai fenomeni naturali l’idea del fine, e quella classica secondo cui tutta la realtà, ai vari diversi livelli, è finalistica. La prima vede la natura come un sistema di determinismi causali. Il compito della sanità diventa in questo caso di tipo ingegneristico: il vaccino viene inteso non solo come uno stimolo affinché la natura possa valorizzare meglio le proprie risorse contro la malattia, ossia gli anticorpi, ma come un intervento di modifica della base biologica, dapprima per impedire all’agente patogeno di attecchire e poi per predisporre un riassetto biologico inattaccabile in quanto modificato. Data questa impostazione è comprensibile il timore che la programmazione del dna dei futuri nuovi esseri umani prodotti in laboratorio sia visto come una Grande Vaccinazione. Perché intervenire a valle, se è possibile intervenire ingegneristicamente a monte della successione dei determinismi?
La seconda visione vede invece la natura come qualcosa di creato secondo sapienza e orientato a dei fini e ad un fine ultimo. Gli interventi sanitari dovranno quindi essere di aiuto alle potenzialità finalistiche della natura quando queste si trovassero impedite da intoppi. La sanità in generale e la vaccinazione in particolare, in questo caso, non saranno orientate a “ricostruire” la natura, ossia a costruire una “nuova natura”, ma semmai a stimolarne la sapiente (pur nei limiti della situazione finita e decaduta) organizzazione finalistica.