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VITA

Sandra che non vuole nulla ma osa chiedere tutto

Piccola storia, quella di Sandra. Sono come tutti i giorni, nella stanza dei colloqui al Cav Mangiagalli. A volte mi capita di pensare che noi non ci accorgiamo della fatica del chiedere. Pare di dare fastidio al mondo intero domandando aiuto. E, noi, noi che facciamo una bandiera dell’accoglienza siamo distratti. Ma Sandra...

Editoriali 01_11_2014
L'aiuto alla maternità del Cav Mangiagalli

Piccola storia, quella di Sandra. Sono come tutti i giorni, nella stanza dei colloqui al Centro di Aiuto alla Vita Mangiagalli. «Ho degli appuntamenti segnati in agenda?», chiedo a Elena che gestisce il mio tempo dalla segreteria. «Appuntamenti no, ma c’è una signora che aspetta di poter essere ascoltata». Ecco la signora affacciarsi alla porta. Sembra non avere nemmeno il coraggio di entrare. «Mi scusi, l’abbiamo fatta aspettare. Ora, però, si accomodi». Si guarda intorno disorientata: «Mi posso sedere?» e, al mio sì, certamente, «dove vuole che mi metta?».

Questo inizio mi porta a pensare a una persona a cui la vita, finora, non ha regalato nulla. Ciò che ha, deve esserselo conquistato e conquistato con grande fatica. «Dove è più comoda, naturalmente. Le va bene il divano?». Subito si rincantuccia nell’angolo del divano e tutto di lei mi chiede scusa. A volte mi capita di pensare che noi non ci accorgiamo della fatica del chiedere. Pare di dare fastidio al mondo intero domandando aiuto. E, noi, noi che facciamo una bandiera dell’accoglienza, dell’ascolto anche dei messaggi non verbali, perfino di voler decodificare l’ovvio, siamo distratti e lontani. Queste modalità, ormai consuete, non attirano l’attenzione dovuta. Eppure, quanta fatica dicono!

Mi presento e racconto sommariamente dell’attività del nostro Centro. «Io mi chiamo Sandra, ho trentanove anni e sono già madre di tre figli. I primi due sono grandi e l’ultimo ha solo tre anni». Mi domando come mai questa differenza d’età; forse si tratta di una seconda relazione? Non è così; Sandra, infatti, subito aggiunge: «Per tanti anni non sono rimasta gravida e poi è arrivato Luca che oggi ha tre anni. Pensavo che non sarebbe più successo e invece …». La voce le si incrina e si mette una mano attorno alla gola quasi per controllare la sua voglia di piangere. «Invece, è successo di nuovo. Sono incinta alla nona settimana». Siamo in silenzio, un silenzio buono. Ci guardiamo intensamente come a scambiarci tutte le emozioni che salgono per essere prese in considerazione. Temo il solito dire che non è possibile far nascere il piccolo bimbo. La situazione economica è molto difficile; lei sola lavora continuativamente ma rischia di essere lasciata a casa dicendo della gravidanza. «Abbiamo cambiato casa andando ad abitare fuori Milano per spendere meno di affitto; è più scomodo ma così riusciamo a farcela». 

Di nuovo silenzio. «Che cosa si può fare, però, quando si aspetta un figlio? Accettarlo e farlo nascere». Che liberazione! Ogni tanto incontro anche persone che sanno dare il giusto valore alle cose importanti della vita. Mi esce di getto un “brava!” che esprime anche la mia riconoscenza. «Sono molto contenta; che cosa possiamo fare per lei?». Con grande pudore, mi racconta di aver saputo che offriamo degli aiuti alle mamme in difficoltà. Temo che abbia bisogno di denari e la sollecito: «É vero. In che cosa possiamo esserle di aiuto?». Torna la fatica del chiedere. «Non ho più niente degli altri figli, ero convinta che non mi sarebbero più servite quelle cose». Con molta dignità mi sta chiedendo “le cose” per il suo bambino. «Sandra credo che le servano gli abitini e i pannolini, vero? Ora scriviamo ciò che ci siamo dette, ma le visite e tutto il resto?».

Così mi racconta che è seguita in un consultorio familiare dove si sente trattata bene; si trova vicino a casa e non deve prendere permessi al lavoro. Mi alzo per andare a scrivere al computer e lei: «Lei fa fatica a vedere?», mi chiede timidamente. Quando le dico che i miei occhi mi hanno lasciato, Sandra si commuove profondamente. Mi esprime tutta la sua partecipazione e quasi devo consolarla.

«Sandra, si vive ugualmente. Con un po’ più di fatica, ma ci si riesce». Sono alla scrivania e, come al solito quando metto per iscritto i progetti di aiuto, recito ad alta voce ciò che sto scrivendo. «Allora abbiamo detto che ogni tanto prenderà un appuntamento per un colloquio che ci tenga informati, che le prepareremo un bel corredino per il suo bimbo, che potrà ritirare i pannolini fino al primo compleanno e che le forniremo il passeggino. Va bene così?».

A questo punto scoppia in lacrime. Intimorita le chiedo: «Che cosa succede, Sandra?». Mi abbraccia. «Anche il passeggino? Davvero? Costa così tanto! Pensavo di chiederlo a qualcuno che avesse smesso di usarlo. Mi sarei adattata». Turbata da tanta sensibilità, sono io ad abbracciarla. Normalmente anche noi cerchiamo di raccogliere le attrezzature usate; ormai i numeri sono così grandi che non si riesce più a far fronte alle richieste. Questa volta, però: «Il suo bimbo ha scelto una mamma particolarmente brava e simpatica per venire in questo mondo! Per lui ci sarà un passeggino molto bello e comodo». Le sue lacrime copiose inumidiscono anche il mio viso. «Ora basta piangere Sandra, o spaventeremo il suo bambino». «Mi sento così felice! Sono sicura che lui lo capisce che sto piangendo di gioia e non avrà paura».  Grazie Sandra della tua semplicità, della tua bontà, della tua riconoscenza.