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IL BELLO DELLA LITURGIA

San Pietro liberato, segno dell’amore di Dio

Completando il ciclo di affreschi di Masolino e Masaccio alla Cappella Brancacci, un giovane Filippino Lippi dipinse gli episodi della visita di san Paolo a san Pietro e della successiva liberazione dal carcere, per mano di un angelo, del Vicario di Cristo. Che continuerà così a evangelizzare e fare la volontà divina in terra, fino alla sua crocifissione a testa in giù.

Cultura 04_07_2020

Filippino Lippi, San Paolo visita San Pietro in carcere – Liberazione di San Pietro dal carcere, Firenze - Chiesa di santa Maria del Carmine

Pietro allora, rientrato in sé, disse: «Ora so veramente che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che il popolo dei Giudei si attendeva». (At 12,11)

La Brancacci è una cappella gentilizia che si apre nella testata del transetto meridionale della chiesa fiorentina di Santa Maria del Carmine. È nota al mondo per gli affreschi di Masolino da Panicale e Masaccio che nel corso degli anni Venti del XV secolo si affiancarono nell’esecuzione delle storie di san Pietro: con la vocazione del primo Vicario di Cristo ebbe inizio la missione della Chiesa chiamata a continuare la Sua Presenza nel mondo, forte della protezione di Dio Onnipotente a lei assicurata.

Sopra i due pilastri d’ingresso, sotto simmetriche, seppur così diverse, scene della cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre, un pittore della nuova generazione, Filippino Lippi, figlio d’arte di un quasi omonimo padre, completando il ciclo lasciato interrotto da Masolino e da Masaccio, raccontò di quando san Paolo fece visita, secondo la tradizione, all’amico Pietro incarcerato; e di quando, poco dopo, un angelo del Signore liberò Pietro dalle catene della prigionia (cfr. At 12, 1-11). Entrambi gli episodi sono da leggersi quale segno dell’amore divino nei confronti di Santa Madre Chiesa.

Il Lippi, creando continuità con le scene limitrofe attraverso le architetture dipinte, attenendosi allo stile solido e realista del Masaccio, dà volume e peso autoritario alla figura di Paolo che indica al Vicario di Cristo una direzione sicura. Commuove il colloquio tra i due amici: l’uno anziano e visibilmente stanco, dietro le sbarre della finestra, ascolta l’altro lasciandosi confortare dalle sue parole che intuiamo dal movimento deciso del braccio teso a suggerire una via, un destino comune. Come a dire: “Non sei solo”.

Dio non lo abbandona e si fa, infatti, a lui compagno attraverso la figura del bellissimo angelo che appare sul pilastro di fronte. La scena si sviluppa ispirandosi al testo degli Atti degli Apostoli: la guardia cade in un sonno profondo e non si accorge di quanto sta accadendo. Pietro si muove, come in una visione, seguendo la creatura che lo ha liberato. L’angelo, nella sua elegante veste di un bianco luminoso, sciolte le sue catene, gli rivolge uno sguardo attento e concentrato: insieme varcano la soglia del carcere, rendendosi entrambi strumento, ancora una volta, della volontà divina.

Che di lì a poco si compirà: nel registro inferiore della parete destra, Filippino terminò il racconto, dipingendo la crocifissione di Pietro sullo sfondo di una Roma riconoscibile dal profilo della piramide di Caio Cestio e dalle mura aureliane. Il suo martirio segna un ulteriore capitolo della storia della salvezza, che - dal peccato originale all’investitura di Pietro, e fino a qui - Masolino, Masaccio e il Lippi hanno affrescato sulle mura fiorentine senza apparente soluzione di continuità.