San Paolo, ennesimo flop di un cinema pretestuoso
Il Nuovo Testamento è renuto appetibile dal cinema internazionale. Ma sempre i risultati sono deludenti, pretestuosi e personalistici. Perché i registi non fanno mai l’unica cosa che andrebbe fatta: prendere gli Atti degli Apostoli e sceneggiarli così come sono. Infatti, sono già delle sceneggiature, ricche di pathos e colpi di scena. Come dimostra l'ultimo film su San Paolo.
Uno legge il titolo sulla locandina, Paolo, apostolo di Cristo, e si frega le mani, immaginando un bel kolossal di avventure, tipo I dieci comandamenti di Cecil B. De Mille. Così, si compra una secchiata di popcorn e si mette comodo, aspettandosi una proiezione di tre-quattro ore. Infatti, il vero Paolo di Tarso ebbe un’esistenza avventurosissima, tra tumulti, imprigionamenti, naufragi, lapidazioni, processi, miracoli.
Se c’è una vicenda che merita un film, anzi tre come Il Signore degli Anelli di Peter Jackson, è proprio quella di san Paolo, una roba dalla durata di sei ore come il Gesù di Nazareth di Franco Zeffirelli, con tanto di cast all stars. Invece, con Paolo, apostolo di Cristo ci si ritrova di fronte a una sceneggiatura poverissima, perfino sull’ambientazione hanno risparmiato, e tutti sono vestiti alla beduina, a parte i (pochi) romani che stanno in divisa.
Il film, di Andrew Hyatt, vede Jim Caviezel nei panni dell’evangelista Luca, James Faulkner fa san Paolo, Olivier Martinez è Mauritius, capo del carcere Mamertino, poi c’è Joanna Whalley nei panni di Priscilla (con le sopracciglia depilate) e John Lynch in quelli di suo marito Aquila. La Whalley, ex moglie di Val Kilmer (Batman, Il Santo, Doors, etc.) è stata anche moglie di Pilato nella miniserie televisiva A.D. La Bibbia continua, di Ciaran Donnelly.
Il personaggio di Mauritius è inventato, mentre gli altri quattro sono esistiti davvero. L’intera storia si svolge subito dopo l’incendio di Roma, sotto Nerone, e si immagina che Paolo sia stato imprigionato perché leader dei cristiani. I quali sono considerati colpevoli del disastro doloso. Perciò, tre quarti del film è ripreso nella cella di Paolo, al lume delle fiaccole. Da qui un racconto cupo e lento. Non si capisce come a Luca venga dato il permesso di visitare ogni giorno il prigioniero quantunque i romani sappiano che è un cristiano.
Però c’è la figlia di Mauritius malatissima e, dopo vari tentennamenti, il prefetto del carcere capitola. Va dunque da Paolo, di cui ha sentito millantare miracoli, a chiedergli se lui può guarirla. E Paolo gli dice di no. Ora, si tenga presente che negli Atti degli Apostoli c’è scritto espressamente che anche i fazzoletti, anche i grembiuli adoperati da Paolo guarivano i malati, tant’è che c’era la gazzarra per appropriarsene. Paolo aveva anche resuscitato un ragazzino che, per ascoltarlo, si era appisolato sul davanzale di una finestra ed era caduto giù.
Ma il regista preferisce far intervenire Luca, che è medico, un medico così bravo da sanare la figlia di Mauritius, sì, ma solo tramite la sua perizia, mica con un miracolo. Nessuna traccia di san Pietro, che pur sappiamo essere stato compagno di cella di san Paolo: i due insieme fecero scaturire dal muro l’acqua con cui battezzarono il carceriere. Il quale si convertì con tutta la sua famiglia. Niente di tutto questo in Mauritius, che esegue l’ordine di decapitare Paolo.
E qui finisce il film. Ora, non si capisce perché il titolo parli del solo Paolo quando il vero protagonista del lavoro è Luca, tant’è che per questo ruolo c’è l’attore più in vista, Caviezel, già Gesù nel famoso Passion di Mel Gibson. Paolo, apostolo di Cristo è un film tutto parlato, perciò se intendete vederlo in streaming procuratevi un paio di altoparlanti esterni, altrimenti rischiate di non capire niente. Insomma, il Nuovo Testamento è, da un po’ di tempo in qua, ritenuto appetibile dal cinema internazionale. Ma quasi sempre (anzi, sempre) i risultati sono deludenti. Sì, perché i registi non fanno mai l’unica cosa che andrebbe fatta: prendere gli Atti degli Apostoli e sceneggiarli così come sono. Infatti, sono già delle sceneggiature, ricche di pathos e colpi di scena. Invece, il pubblico deve sempre sorbirsi le personali interpretazioni dei registi su questo o quel personaggio evangelico. Lo stesso dicasi, ahimè, per l’Antico Testamento: avete presenti Exodus, dei e re di Ridley Scott o Noah di Darren Aronofsky? Mah.