San Guido Maria Conforti
Fondatore dei Saveriani, non smise mai di incoraggiare l’evangelizzazione dei non cristiani nel mondo e la necessità di ritrasmettere la fede autentica nelle regioni italiane, divenute terreno fertile per le ideologie in un Paese che andava secolarizzandosi
Scorrendone la biografia si sente la nostalgia di pastori come san Guido Maria Conforti (1865-1931). Il fondatore dei saveriani non smise mai di incoraggiare l’evangelizzazione dei non cristiani nel mondo e la necessità di ritrasmettere la fede autentica nelle regioni italiane, divenute terreno fertile per le ideologie in un Paese che andava secolarizzandosi.
Ottavo di dieci figli, ricevette l’istruzione elementare dai lasalliani. La sua vocazione maturò già in quegli anni: nel cammino verso la scuola si fermava ogni giorno in chiesa per contemplare il crocifisso. «Io guardavo Lui e Lui guardava me e mi pareva che dicesse tante cose», ricordò da vescovo, definendo Cristo in croce «il grande libro sul quale si sono formati i Santi e sul quale dobbiamo formarci anche noi».
La lettura in seminario della vita di san Francesco Saverio ne ispirò la spinta missionaria. I problemi di salute gli impedirono di concretizzare il sogno di andare in missione, ma non per questo si scoraggiò: nel 1895 fondò un seminario missionario che anni dopo sarebbe divenuto la Congregazione di san Francesco Saverio per le Missioni estere. A fine secolo i suoi primi due missionari partirono per la Cina. Lui poté andarvi solo nel 1928, dicendo profeticamente che «in tempo non lontano avrà forse la maggior influenza sopra l’equilibrio mondiale». L’istituto si diffuse rapidamente in Italia e all’estero, attirando numerose vocazioni. La guida della congregazione non fu l’unica attività in cui si trovò impegnato. Tre anni dopo una parentesi come arcivescovo di Ravenna (incarico che aveva lasciato per il peggioramento della salute), diventò vescovo di Parma e ne resse la diocesi per quasi 24 anni, fino alla morte.
Promosse la formazione dei laici, la stampa cattolica e la cultura del clero, che pungolava alla santificazione. Percorse migliaia di chilometri per visitare ogni angolo della sua diocesi, ascoltando tutti coloro che si rivolgevano a lui per bisogni materiali o spirituali. Si prodigò per placare i conflitti sociali tra contadini e agrari, confortò i feriti reduci dalla Prima Guerra Mondiale, accolse con favore la nascita del Partito Popolare, pur convinto che l’impegno dei cattolici in politica avrebbe dovuto riguardare soprattutto i laici. Affrontò Italo Balbo, contribuendo a risolvere la vicenda che insanguinò Parma nell’agosto 1922.
I fedeli lo consideravano già santo in terra. Come racconta un testimone dell’epoca, «delle persone si inginocchiavano in mezzo alla strada per ricevere la benedizione del vescovo». In cima a ogni suo pensiero c’era sempre l’evangelizzazione: nella sua lettera-testamento ricordò ai saveriani di essere costantemente animati da uno «spirito di viva fede che ci faccia veder Dio, cercar Dio, amar Dio in tutto, acuendo in noi il desiderio di propagare ovunque il suo Regno».