San Giuseppe, una luce per la Dottrina sociale della Chiesa
Giuseppe è maestro di ogni vita quotidiana nella società anche di oggi, innestando l’azione nella contemplazione. Eppure, nessuno aveva fin qui trattato le sue sante qualità dal punto di vista della Dottrina sociale della Chiesa. Colma tale lacuna l’ultimo Bollettino dell’Osservatorio Cardinale Van Thuân, dal titolo “San Giuseppe: paternità, castità, lavoro”.
Si sta avviando a conclusione l’Anno di San Giuseppe, che terminerà il prossimo 8 dicembre, e finalmente viene coperta una lacuna nelle celebrazioni devozionali dello Sposo di Maria santissima, Padre putativo di Gesù, protettore della Chiesa universale e dal 1955 patrono dei lavoratori. Nessuno aveva ancora esaminato le sue sante qualità dal punto di vista della Dottrina sociale della Chiesa. A questo ora ha pensato il “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa” dell’Osservatorio Cardinale Van Thuân, che dedica il fascicolo attualmente in distribuzione a “San Giuseppe: paternità, castità, lavoro” [richiedilo QUI).
Questi tre termini - paternità, castità, lavoro – indicano i tre principali insegnamenti di vita cristiana ispirati alla Famiglia di Nazareth e anche alcuni grandi settori della vita sociale e politica cari alla Dottrina sociale della Chiesa come l’autorità, il matrimonio, la famiglia, la procreazione, l’educazione, il lavoro. Ispirato dalla santa vita quotidiana accanto a Gesù e a Maria, Giuseppe è maestro di ogni vita quotidiana nella società anche di oggi, innestando l’azione nella contemplazione.
Nel numero del “Bollettino” della paternità di San Giuseppe si occupano il prof. José Noriega, già docente al Giovanni Paolo II e curatore del “Dizionario su sesso, amore e fecondità” (Cantagalli 2019) - pubblicato proprio un attimo prima che l’Istituto fosse rivoluzionato da Francesco e dall’arcivescovo Paglia - e Roberto Marchesini, noto psicoterapeuta e apprezzato saggista. Si dice che le nostre società siano “senza padre”: i due autori, al contrario, mostrano l’estrema necessità del ritorno della “paternità” come fondamento del senso e dell’origine: “Vogliamo che ritorni il padre che dà un nome, colui che è la memoria della bontà dell’origine, quello che riconcilia il desiderio e la legge, l’origine e il destino” (Noriega).
La castità di San Giuseppe è analizzata dal prof. Stephan Kampowski, dell’Istituto Giovanni Paolo II per le scienze del matrimonio e della famiglia. Egli sviluppa l’intuizione di Giovanni Paolo II secondo cui la mentalità contraccettiva, vale a dire una visione distorta della castità matrimoniale, contiene già in sé la mentalità che conduce all’ammissione dell’aborto. L’uso corretto della sessualità si colloca così alla base della vita non solo familiare ma anche sociale e politica.
Di San Giuseppe Lavoratore si occupano Don Lillo D’Ugo ed Ermes Dovico. Il primo ripercorre le principali caratteristiche del lavoro nella Dottrina sociale della Chiesa, dalle origini fino a Giovanni Paolo II che ne trattò in modo particolarmente approfondito. L’autore illustra le principali caratteristiche che il lavoro deve avere per la Dottrina sociale e, soprattutto, mostra come in San Giuseppe il lavoro fosse incentrato su Dio come collaborazione alla Sua opera creatrice. Il secondo mette in luce il rapporto tra azione e contemplazione nel lavoro, perché San Giuseppe mise in pratica in modo eminente il principio ora et labora.
Di notevole interesse l’articolo di Federico Catani dedicato alla “nobiltà” di San Giuseppe, che era discendente di Davide e quindi “di stirpe regale”. Nell’intelligente interpretazione di Catani, questa discendenza “nobiliare” di San Giuseppe ci conferma che non appartengono alla Dottrina sociale della Chiesa le idee egualitariste e falsamente democratiche. Anche nella società di oggi dovrebbe esistere una classe elitaria - ruolo che la nobiltà cristiana ha esercitato nelle società del passato - perché “ci sarà sempre bisogno di una classe dirigente, di un gruppo elitario (nel senso migliore del termine) per guidare il resto della società. Tuttavia, le élites devono essere radicate nei principi della Dottrina sociale della Chiesa, altrimenti avremo nomenclature indifferenti o, peggio ancora, ostili al cattolicesimo, come stiamo vedendo oggi. L’aristocrazia e le élites dovrebbero essere le custodi della Tradizione e svolgere una funzione di guida, trainando tutta la società verso l’alto”.
L’arcivescovo Giampaolo Crepaldi dedica un ampio editoriale del fascicolo del “Bollettino” a San Giuseppe e la Dottrina sociale della Chiesa, mentre Stefano Fontana tratta della Sacra Famiglia nel pensiero di Karl Marx. Secondo Marx la Sacra Famiglia altro non è che la proiezione della famiglia nelle sue materiali condizioni economiche e sociali. Quindi, dice Marx, se si vuole distruggere la Sacra Famiglia bisogna colpire la famiglia materiale e storica, di cui quella è espressione. Si nota qui non solo l’odio del comunismo per la famiglia, ma soprattutto che lo scopo finale è la distruzione della Sacra Famiglia. L’intento finale è, quindi, ateo.
La Dottrina sociale della Chiesa, purtroppo, non naviga oggi in buone acque. Il suo messaggio viene sempre più abbassato di livello e ridotto ad un’etica umanistica fondata sul dialogo sociale. Riferire i temi sociali alla storia della salvezza, incentrarli sulla casa e sulla bottega di Nazareth vuole invece rialzare il livello della proposta della Dottrina sociale della Chiesa e recuperarla nel suo pieno significato di strumento di evangelizzazione.
Costo del fascicolo: 8 euro. Lo si può ordinare scrivendo QUI