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San Giovanni d’Avila

«Ogni prete, che dubitasse della propria vocazione, può avvicinare il nostro Santo e avere una risposta rassicurante. Come ogni studioso, incline a ridurre la figura del Sacerdote entro gli schemi di una sociologia profana e utilitaria, guardando quella di Giovanni d’Avila, avrebbe di che modificare i suoi giudizi». Così disse Paolo VI nell'omelia per la canonizzazione di Giovanni d'Avila, mistico e Dottore della Chiesa

Santo del giorno 10_05_2020 Español

Mistico e Dottore della Chiesa, precursore e consigliere del Concilio di Trento, modello per i sacerdoti e «figura profetica», come lo definì Paolo VI quando lo canonizzò nel 1970. San Giovanni d’Avila (c. 1500-1569) è stato tutto questo. E si può pensare che la sua missione nella Chiesa debba ancora raggiungere il suo culmine, come se il lento processo di canonizzazione (conclusosi a ben quattro secoli di distanza dalla morte) e la sua riscoperta siano frutto di un preciso disegno della Divina Provvidenza. Papa Montini ne esaltò i molti carismi e vedeva in lui un sicuro esempio per il clero, oltre a una perfetta risposta alla società secolarizzata: «Ogni prete, che dubitasse della propria vocazione, può avvicinare il nostro Santo e avere una risposta rassicurante. Come ogni studioso, incline a ridurre la figura del Sacerdote entro gli schemi di una sociologia profana e utilitaria, guardando quella di Giovanni d’Avila, avrebbe di che modificare i suoi giudizi […]».

Nato in un piccolo borgo della Castiglia da una famiglia nobile, Giovanni rimase orfano quando ancora doveva completare gli studi. Si laureò in filosofia e teologia. Nel 1526 fu ordinato sacerdote, donando ai poveri buona parte della sua eredità. L’ardente spirito missionario lo spingeva verso il Messico, ma le cose non andarono secondo i suoi piani. Giunto a Siviglia, in attesa dell’imbarco per il Nuovo Mondo, si mise a predicare in città e nei dintorni. Fu notato da un insigne catechista, il Servo di Dio Fernando de Contreras, che rimase colpito dalla sua arte oratoria e chiese all’arcivescovo di convincerlo a rimanere in patria. E così avvenne. Con la sua incessante predicazione si meritò l’appellativo di “Apostolo dell’Andalusia”. Eppure, non gli mancarono le prove: nel 1531 finì in carcere per un’ingiusta accusa di eresia, da cui fu pienamente assolto due anni più tardi.

Il periodo in prigione - durante il quale iniziò a scrivere il capolavoro Audi, filia - lo aiutò a crescere spiritualmente. Accese i cuori sugli infiniti benefici della Redenzione di Cristo e sulla maternità di Maria. Maturò quella teologia orante, tipica dei santi, che gli farà dire: «Quali tesori nascosti ci elargisce Dio nelle prove, dalle quali il mondo pensa solo a fuggire». Perciò ricordava che Gesù stesso ci ha indicato la via della croce quale via di vero amore: «Cristo ci dice che se noi desideriamo unirci a Lui, dobbiamo camminare sulla strada che Egli ha percorso», una strada opposta alle «vie dell’onore mondano». La sua fama da predicatore si diffuse al punto che nel 1538 gli fu chiesto di pronunciare il sermone per i funerali della giovane Isabella di Portogallo, moglie di Carlo V. La sua omelia favorì la conversione di san Francesco Borgia. Pochi mesi dopo le sue parole ebbero un effetto dirompente anche su un uomo di 43 anni, ancora confuso sulla sua vocazione: san Giovanni di Dio, fondatore dei Fatebenefratelli.

Non per nulla, dunque, i suoi contemporanei lo chiamavano «Padre Maestro». Merita almeno un cenno la sua grande amicizia con sant’Ignazio di Loyola (verso il quale indirizzò una trentina dei suoi allievi) e santa Teresa d’Avila (che sostenne nella riforma del Carmelo). Come ha scritto Benedetto XVI nella lettera apostolica con cui lo ha proclamato Dottore della Chiesa, «a lui si rivolsero alla ricerca di aiuto e di orientamento grandi santi e riconosciuti peccatori, sapienti e ignoranti, poveri e ricchi». Consapevole della necessità di formare cristianamente i bambini e i giovani che si preparavano al sacerdozio, fondò diversi collegi minori e maggiori, anticipatori dei seminari tridentini. L’arcivescovo di Granada avrebbe voluto portarlo alle ultime due sessioni del Concilio di Trento, ma Giovanni era ormai molto malato; continuò tuttavia il suo apostolato con lo scritto e redasse due Memoriali che ebbero una grande influenza sul Concilio. Un personaggio enorme, quindi, da cui la Chiesa può trarre ancora un gran bene.

Patrono di: clero secolare spagnolo

Per saperne di più: Omelia di Paolo VI per la canonizzazione di Giovanni d’Avila (31 maggio 1970)