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La figura

San Giosafat, sul martirio si fonda la Chiesa fedele e unita

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Il 12 novembre di 400 anni fa il martirio di san Giosafat, nato ortodosso, convertito al cattolicesimo. Pio XI gli dedicò l’enciclica Ecclesiam Dei, ricordando come l’unità ecumenica debba fondarsi sulla verità, di cui il martirio è suprema testimonianza.

Ecclesia 14_11_2023

Domenica 12 novembre è caduto il 400° anniversario del martirio di san Giosafat Kuncewycz (1580-1623), arcivescovo di Polotsk. Giosafat, «Apostolo dell’unità» (come lo chiamò Pio XI) e patrono dell’Ucraina, è un santo che ha molto da dire sia alla Chiesa di oggi, dove si parla in modo sempre più vago di ecumenismo, sia al mondo intero, dove la pace è sempre più rara, perché Dio è stato messo da parte. Più in particolare, san Giosafat ci aiuta a ricentrare l’attenzione sul fatto che non sono le discussioni e i disegni umani che donano unità e pace, ma l’impegno a vivere fedelmente alla sequela di Gesù, fino alla disponibilità a sacrificare la propria vita.

Nato a Volodymyr da genitori ortodossi, che lo battezzarono con il nome di Giovanni, si convertì al cattolicesimo quando era ancora un fanciullo. La fase storica era quella dell’Unione di Brest (1595-1596), che abiurò lo scisma d’Oriente (1054) e riconobbe il primato del papa, ponendo le basi per la formazione della Chiesa greco-cattolica ucraina. Entrato tra i monaci basiliani, dove assunse il nome religioso di Giosafat, il santo si distinse per la penitenza, la pietà e un singolare tratto nel meditare la Passione di Gesù.

A queste virtù – che erano a fondamento del desiderio che tutti i ruteni tornassero in comunione con Roma – univa lo studio delle Sacre Scritture, dei libri liturgici, degli antichi Padri: tesori di fede e di dottrina a cui attingeva per confutare gli argomenti eretici e ricondurre quante più persone possibili alla Chiesa cattolica. «Premessa una così diligente preparazione», come scrisse Pio XI nell’enciclica Ecclesiam Dei, pubblicata per il terzo centenario del martirio di san Giosafat, «egli si accinse quindi a trattare, con forza e soavità insieme, la causa della restaurazione dell’unità, ottenendo frutti così copiosi da meritare dagli stessi avversari il titolo di “rapitore delle anime”. Ed è veramente mirabile il gran numero delle anime da lui condotte all’unico ovile di Gesù Cristo, da tutti gli ordini e da tutte le classi sociali, plebei, negozianti, cavalieri, e anche prefetti e governatori di province».

Al cuore della sua predicazione c’era la verità. E per diffonderla pubblicò anche un catechismo e diversi altri scritti, su argomenti quali il primato petrino, il battesimo di san Vladimiro, la necessità di una Chiesa unita. Grazie alle sue esortazioni e alla sua vita santa, nel popolo crebbe la frequenza ai sacramenti e l’impegno a vivere secondo i comandamenti.

Tanto zelo gli procurava inevitabilmente dei nemici, ma ciò non ne fermava l’apostolato, anzi: lui stesso chiedeva a Dio, e con costanza, la grazia del martirio. Pochi giorni prima di morire, avvertito delle macchinazioni contro di lui, disse: «Signore, concedimi di poter versare il sangue per l’unità e per l’obbedienza della Sede Apostolica». Il 12 novembre 1623, anche allora una domenica, fu circondato da un gruppo di suoi nemici, sui quali, mentre veniva ferito a morte, invocò fino all’ultimo il perdono di Dio.

Quel martirio, come nella parabola del chicco di grano, produsse un gran frutto. E ciò sia tra i vescovi ruteni, che a due mesi di distanza scrissero una lettera a Roma per dirsi «prontissimi a dare il sangue e la vita per la fede cattolica» come già aveva fatto il loro confratello Giosafat; sia tra i comuni cittadini, molti dei quali, compresi i suoi uccisori, divennero cattolici.

Perciò Pio XI scriveva giustamente nella sua enciclica che l’unità nella Chiesa «meglio che con le discussioni e altri stimoli, è da promuovere con gli esempi e le opere di una vita santa». Questo, sull’esempio di san Giosafat, presuppone certamente una maggiore conoscenza reciproca tra ortodossi e cattolici, quello che oggi si chiamerebbe “dialogo”, ma che deve sfociare necessariamente nel dire la verità con carità, perché la Chiesa torni a essere «una cosa sola» (Gv 17,21), come voluto da Cristo. Ed è proprio a Dio che i cristiani devono rivolgersi per ritornare all’unità, come faceva il nostro santo, il quale, ricordava ancora papa Ratti, «nel suo apostolato per l’unità confidava soprattutto nel valore dell’orazione». E chiaramente faceva un grande affidamento sull’intercessione della Madonna, tenuta in grande onore sia dai cattolici che dagli ortodossi.

Lungi da certi diffusi annacquamenti che contraddistinguono l’ecumenismo odierno, san Giosafat ci ricorda dunque che l’unità non può prescindere dalla verità. E allo stesso tempo ci dice che la Chiesa fiorisce non certo se cerca di compiacere il mondo (sdoganando le pretese Lgbt, la fornicazione, l’adulterio, l’idea delle pecore al posto dei pastori, eccetera, nel solco della nuova idea di “sinodalità”), ma se rimane fedele a Cristo, fino a condividere la sorte che Lui stesso preannunciò ai discepoli: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra» (Gv 15,20). Non ci può essere vera unità e vera Chiesa che non passi da qui.