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LA FIGURA

San Gerardo, il laico che servì Cristo nei poveri e malati

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È in corso l’Anno giubilare dedicato a san Gerardo (con annesse indulgenze), al cui nome è legato l'ospedale di Monza. Un santo originale, grande taumaturgo e contemplativo, che mise le sue ricchezze e sé stesso al servizio degli ultimi.

Ecclesia 06_12_2023

Siamo nel bel mezzo dell’Anno santo gerardiano (6 giugno 2023 – 6 giugno 2024), indetto dalla Chiesa per celebrare un duplice anniversario riguardante san Gerardo dei Tintori (1134 ca – 1207), compatrono di Monza assieme a san Giovanni Battista.

Una delle due ricorrenze riguarda l’opera per cui questo santo, nato e morto a Monza, è più conosciuto: un ospedale, rivolto ad accogliere innanzitutto i malati più poveri. Il 19 febbraio 2024 cade l’850° anniversario della Convenzione (Conventio) tra Gerardo, il Comune e la Basilica di Monza, accordo con il quale il santo, allora quarantenne, intendeva assicurare continuità all’ospedale fondato diversi anni prima nei propri possedimenti. L’altra ricorrenza è il 400° anniversario della seconda traslazione (1623) delle sue spoglie, allora poste nel sarcofago in marmo bianco tuttora custodito nella chiesa monzese di San Gerardo al Corpo (del 1738, invece, è la traslazione nell’urna di cristallo dove riposano oggi i suoi resti; vedi foto in basso). Con una visita a questa chiesa, per tutto l’Anno santo, è possibile lucrare l’indulgenza plenaria (alle solite condizioni).

Una figura originale, quella di san Gerardo, laico e grande taumaturgo, nato in pieno Medioevo, circa mezzo secolo prima di san Francesco d’Assisi e divenuto adulto in un’epoca segnata da carestie, epidemie e guerre.

È un santo, Gerardo, estremamente pragmatico e, allo stesso tempo, contemplativo, che mise i suoi beni a disposizione degli ultimi. Anzi, Gerardo ricorda alla Chiesa e al mondo che la vera carità – virtù in cui lui eccelse – si fonda sulla contemplazione di Dio. E che quest’ultima, a sua volta, deve trovare come suo “sigillo” e sbocco naturale proprio la carità, che pure può concretizzarsi in diverse forme, come opere di misericordia corporale e spirituale.

Ma chi è stato più precisamente, su questa terra, san Gerardo? Il suo cognome – de’ Tintori (o Tintore) – rimanda alla tintura di stoffe in cui era specializzata la sua famiglia, «antica e honorata», come la definì Bartolomeo Zucchi (1570-1630), sacerdote e storico monzese. La casa paterna sorgeva sulla riva sinistra del Lambro. E fu lì, all’interno della sua proprietà, che il giovane Gerardo – rimasto presto orfano di padre, come riferisce il suo primo biografo, lo storico Bonincontro Morigia (floruit XIV secolo) – fondò un ospedale, ponendosi lui stesso al servizio dei malati.

Gerardo andava personalmente a cercare gli infermi più bisognosi, per condurli nelle sue case, dove si assistevano anche anziani, orfani e pellegrini. Attorno al santo, attratti dal suo esempio, si riunirono altri laici, detti fratres o conversi. I conversi alternavano la preghiera all’assistenza ai malati, vivevano in comune in modo austero e si impegnavano nel celibato, pur senza professione religiosa. Da parte sua, Gerardo fece voto di castità.

Non conosciamo la data esatta di fondazione dell’ospedale, ma esso esisteva almeno dal 1162 (ben prima, dunque, della Conventio), anno in cui Monza soffrì una grave carestia e in cui è attestato il primo miracolo per intercessione del santo. Allora, per esaudire le richieste dei molti indigenti ospitati nelle sue proprietà, Gerardo ordinò al converso dispensiere di usare tutte le provviste: un moggio di frumento e uno staio di vino. Il dispensiere obbedì, sebbene con una certa riluttanza perché temeva che gli alimenti non sarebbero bastati per tutti. Il santo, che aveva ammonito il confratello esortandolo a confidare nella Divina Provvidenza, si mise a pregare. Poco dopo, le dispense furono ritrovate piene.

E questo è solo il primo dei 20 miracoli attestati – 14 dei quali post mortem – che vennero inclusi negli Acta su Gerardo. Particolare non irrilevante, gli Acta furono il frutto del processo informativo ordinato da san Carlo Borromeo (1538-1584), che in applicazione ai decreti del Concilio di Trento dovette sospendere temporaneamente il culto del santo perché questo era iniziato in modo spontaneo alcuni giorni dopo la sua morte e si era poi consolidato a Monza e in paesi vicini, ma senza che fosse mai stata richiesta l’autorizzazione ufficiale alla Santa Sede.

Nel processo, che condusse alla solenne approvazione del culto (1583), furono raccolte testimonianze e vagliati i documenti disponibili, tra cui la più antica biografia su Gerardo – il Chronicon Modoetiense, per la precisione una storia di Monza, che include anche la vita e i miracoli del santo – opera del già citato Bonincontro Morigia, scritta sulla base di «testimoni oculari o sul racconto di persone degne di fede». Lo stesso storico e nobile monzese aggiungeva che quanto da lui esposto «riguardo al Beato Gerardo e ai suoi miracoli, l’ho appreso in gran parte da anziani della nostra città di Monza, ai quali i conversi e altri religiosi di buona reputazione e degni di fede, amici intimi e conoscenti del Beato, riferirono ciò che videro, con i propri occhi, di Gerardo e dei suoi miracoli». Non si tratta dunque di mere “leggende”, nel senso più riduttivo e comune oggi del termine, bensì di fatti basati su testimonianze che risalgono fino all’epoca in cui il santo era in terra.

Tra i 20 miracoli inclusi negli Acta ve n’è uno, in realtà, che si potrebbe dire collettivo, perché riguarda la guarigione di diversi malati: «Il venerabile Gerardo con le sue preghiere guariva molte malattie dei poveri infermi di fervida fede che rappresentano la persona di Cristo», scrive il Morigia. Oltre a queste guarigioni senza numero operate nel corso della vita terrena di Gerardo, ve ne sono altre, elencate puntualmente e avvenute, come dicevamo, dopo la sua morte. Una di esse riguardò il padre dello stesso Morigia, guarito da un ascesso potenzialmente mortale (era sotto l’ascella sinistra, il che rendeva pericoloso un intervento) dopo aver fatto un voto al santo monzese, un evento che «fu considerato un grandissimo miracolo dai medici e da altre persone».

Abbiamo accennato al suo tratto contemplativo. Gerardo andava di prima mattina alla chiesa di San Giovanni Battista e spesso vi entrava «per grazia divina», quando cioè le porte erano chiuse, «la qual cosa – riferisce ancora il Chronicon Modoetiense – era ben conosciuta dai sacrestani». Una sera di dicembre, i custodi dell’attuale basilica di Monza (il Duomo) gli permisero di fermarsi a pregare oltre l’orario di chiusura. Per ringraziarli, all’indomani Gerardo donò loro un cesto di ciliegie, nonostante fossero fuori stagione: il miracolo delle ciliegie, tipico attributo iconografico del santo, non compare tra i 20 inclusi negli Acta per la conferma del culto, ma fu censito nel 1695 dai Bollandisti, noti per la loro erudizione, insieme a un altro prodigio (il salvataggio di Nazario da Sesto).

Merita un cenno, infine, la serie di miracoli, anche questi variamente attestati, legati alla protezione delle partorienti e alla liberazione dalle epidemie: peste e non solo. Del suo primo miracolo post mortem, a quaranta giorni dal suo ultimo respiro terreno, beneficiarono gli abitanti di Olgiate Comasco. Colpiti da una malattia contagiosa sconosciuta, la syncoposis, gli olgiatesi chiesero consiglio a un sacerdote eremita, il beato Manfredo Settala, che a sua volta li esortò a recarsi in pellegrinaggio a Monza per pregare sulla tomba di Gerardo, allora sepolto nella nuda terra. Il santo li guarì. Di lì gli fu data una più degna sepoltura. E gli olgiatesi fecero voto di compiere di anno in anno il pellegrinaggio a Monza, trasmettendo il voto ai propri discendenti: fatto che avviene ancora oggi, ogni 25 aprile.

Non per nulla, Olgiate è stata una delle tre tappe al di fuori dei confini monzesi – insieme a Seveso e Figino Serenza, che pure mantengono il voto del pellegrinaggio annuale in ringraziamento alla liberazione dalla peste – della peregrinatio del corpo di san Gerardo avvenuta nell’ottobre di quest’anno.

Una fede che si tramanda di padre in figlio, semplice e riconoscente, che è un richiamo anche rispetto a certo scientismo e scetticismo (sull’intervento di Dio nella storia) oggi piuttosto diffuso nella stessa Chiesa cattolica. Una fede che tutta la Chiesa ha bisogno di tornare ad annunciare.