San Filippo Neri, il fine dell’Oratorio è incontrare Cristo
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Il santo di cui oggi ricorre la memoria liturgica intendeva l’Oratorio come un mezzo per aiutare la ricerca di Dio. Il fine del metodo missionario di Filippo Neri era infatti, come disse Giovanni Paolo II, «favorire un personale incontro con Cristo». In ciò, si avvalse di vari strumenti pedagogici.
Comunicare Dio, essere strumenti della Parola e raggiungere con semplicità il maggior numero di fedeli: questi, i più importanti “obiettivi” degli Oratori nati dalla mente eclettica, geniale, vivissima di san Filippo Neri. Animo gentile e al contempo burlone; sacerdote vicino al popolo di Dio con amabile gioiosità, san Filippo rappresenta una delle figure più interessanti e affascinanti della Chiesa del ‘500. Il suo, un cuore profondamente legato alle “cose del Cielo”. E al Cielo ha sempre guardato il suo Oratorio, l’opera apostolica a cui san Filippo Neri diede vita - poco dopo la sua ordinazione sacerdotale avvenuta il 23 maggio del 1551 - nella chiesetta romana di San Girolamo della Carità.
Gli incontri ebbero fin dall’inizio una chiarissima finalità spirituale: accrescere in ogni fedele il rapporto personale con Dio attraverso la preghiera e la pratica sacramentale. Fin dai primi incontri, l’Oratorio aveva assunto un programma che andrà sempre più definendosi nel tempo. Ma come si svolgeva l’attività dell’Oratorio? Il primo momento era rappresentato da una riunione pomeridiana nella quale venivano recitati quattro sermoni; successivamente vi era una riunione vespertina (con un momento di meditazione e di preghiera litanica). Per la domenica erano previsti invece diversi momenti di riunione: l’incontro della mattina; le passeggiate per Roma; la celeberrima visita alle Sette Chiese; e poi vi erano i momenti del connubio tra parole e musica, le cosiddette “laudi”, modi di evangelizzare con l’arte musicale; infine, la visita negli ospedali e l’assistenza ai poveri.
L’Oratorio, dunque, era una sorta di itinerarium mentis, animi et corporis: un viaggio per ogni oratoriano nella propria fede che riusciva ad incrementare - grazie ai diversi strumenti pedagogici che metteva in atto il Neri - la propria ricerca di Dio. Un’efficace fotografia dell’Oratorio la fece san Giovanni Paolo II durante il Congresso generale degli Oratoriani del 2000: «Favorire un personale incontro con Cristo rappresenta anche il fondamentale “metodo missionario” dell’Oratorio. Esso consiste nel “parlare al cuore” degli uomini per condurli a fare un’esperienza del Maestro divino, capace di trasformare la vita». Giovanni Paolo II usa un termine importante, personale incontro: era proprio questo uno dei maggiori punti di forza della pedagogia di san Filippo Neri.
Fra le tante idee innovative che san Filippo Neri aveva introdotto nei suoi Oratori, quella sicuramente più efficace era stata coniugare musica e parole per offrire al fedele una sorta di catechesi “cantata”. Molto probabilmente l’idea era venuta a san Filippo ricordando la sua giovinezza trascorsa a Firenze: qui, la produzione di laudi sacre cantate era molto diffusa fra il popolo. Di queste composizioni il santo amava non soltanto la loro semplicità formale (e dunque la loro possibile facile trasmissione tra il popolo), ma anche la loro forte carica emotiva, determinata dal mirabile sposalizio tra note e versi. A tal proposito è assai interessante leggere alcune pagine del processo di canonizzazione: è possibile, infatti, trovare alcune testimonianze che attestano quanto san Filippo Neri fosse legato a tale pratica. Ad esempio, due testimoni al processo ricordano bene che per ben due volte il santo fece intonare la lauda di Feo Belcari Gesù Gesù, ognun chiami Gesù per dare conforto a un uomo che si trovava in procinto di lasciare questo mondo.
«Che impatto di bellezza e di verità hanno in noi questi canti! Che intensa e viva devozione provocano in noi. Commuovono, muovono a una pietà sincera e profonda. La pietas filippina è l’unica vera pietas popolare del Cinquecento. San Filippo Neri ha saputo suscitare uno spirito religioso autentico. E infatti questi canti sono l’espressione di un cuore profondissimo e insieme semplicissimo». Con queste parole don Luigi Giussani introduceva un interessante progetto discografico del 1997 dal titolo Spirto gentil, una collana antologica di 52 Cd di autori classici selezionati dallo stesso fondatore di Comunione e Liberazione. Uno di questi Cd, appunto, raccoglieva le laude filippine. Nell’ascoltare le diverse composizioni non si può che rimanere sorpresi dall’originalità di tali composizioni.
Ma c’è anche un altro elemento che va sottolineato: l’Oratorio è stato anche una grande “palestra” per molte vocazioni sacerdotali. Fra tanti nomi ricordiamo quelli di Cesare Baronio e Francesco Maria Tarugi, futuri cardinali che maturarono la vocazione sacerdotale proprio nell’ambiente oratoriano, catturati dal metodo e dall’azione pastorale di san Filippo Neri che sempre più dilagava a Roma. Nacque così, senza un progetto preordinato, la Congregazione dell’Oratorio: una comunità di sacerdoti che nell’Oratorio trovavano non solo il centro della loro spiritualità ma anche il più ricco campo di apostolato. La storia dell’Oratorio, allora, si sviluppa sempre di più fino a quando avviene il trasferimento in un’altra chiesa: quella di San Giovanni dei Fiorentini, a pochi passi da San Pietro: san Filippo Neri aveva dovuto accettare la rettoria di questa chiesa, spinto dai pressanti inviti dei suoi concittadini. Ed è proprio in questo luogo che iniziò tra i discepoli del santo quella semplice vita familiare fatta di poche regole essenziali, culla e fucina della futura Congregazione.
Nel 1575 sarà la volta di un altro luogo romano che diverrà il fulcro dell’attività pastorale dell’Oratorio: è Santa Maria in Vallicella. Papa Gregorio XIII affidò a Filippo e ai suoi preti quella che all’epoca era una piccola e fatiscente chiesa a due passi da San Girolamo della Carità e da San Giovanni dei Fiorentini. San Filippo Neri arriverà in questo luogo solo nel 1583 perché aveva continuato a vivere nella piccola stanza della chiesa di San Girolamo, lì, dove tutto era iniziato. Lì, dove tra le tante attività dell’Oratorio era riuscito a comporre i versi - così almeno vengono a lui attribuiti - di una lauda che chissà quanti fedeli avrà formato alla scuola del Vangelo: «Già viene il Gran Signore/ su gimo a rincontrallo/ con suono canto e ballo/ et giubilante core./ Ciascun per se vedrallo/ secondo ch’egli e tale/ secondo che l’occhiale/ ha rosso verde o giallo./ Dunque ciascun procuri/ tener purgato il petto/ d'ogni mortale affetto/ per aver gli occhi puri».