San Fedele da Sigmaringen, l’avvocato di Dio
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Dopo aver difeso gratuitamente diversi bisognosi, abbracciò la vita religiosa. Si dedicò particolarmente alla predicazione e a convertire al cattolicesimo i fratelli traviati dalle eresie protestanti. Fino al glorioso martirio.

Sigmaringen, una piccola cittadina tedesca a sud di Stoccarda, che sorge vicino alle rive del Danubio, nel Land del Baden-Württemberg (distretto di Tubinga). Fu questa città che vide la nascita di san Fedele da Sigmaringen (1577/1578 – 24 aprile 1622), del quale oggi ricorre la memoria liturgica. Le immagini pittoriche che conserviamo lo ritraggono, quasi sempre, in questo particolare modo: con in mano una spada e nell’altra la palma del martirio, oppure – in altre iconografie – con un crocifisso e un giglio fra le mani. Purezza della santità e sequela di Cristo si alternano, quindi, al sangue dei martiri e alla difesa della fede. In fondo, possono essere proprio queste le parole-chiave della sua complessa e ricca biografia.
Markus, questo il suo nome di battesimo, era nato in una facoltosa famiglia, quinto di sei figli. Fin da giovane si distinse per le sue doti intellettive: mente profonda e grande sensibilità. Un’educazione suscitata e spinta dal padre, Giovanni Roy (o Rey), ricco albergatore dell’Adler e poi borgomastro della città, e dalla madre Genoveffa Rosenberger, nata nella città protestante di Tubinga, convertita al cattolicesimo nel momento del matrimonio.
I genitori compresero fin da subito le doti intellettive di Markus e così lo indirizzarono verso gli studi che dovette poi interrompere nel 1604, richiamato dal conte di Statzingen che gli affidò l’educazione di un gruppo di giovani nobili. Ed è con loro che inaugurò una speciale “scuola”: una scuola itinerante, così si potrebbe definire. Infatti, con questi ragazzi, visitò diversi Paesi come l’Italia, la Spagna e la Francia. Il rientro avvenne dopo sei anni, per poter riprendere gli studi in giurisprudenza. Si laureò in diritto canonico e civile nella città di Willingen.
A Ensisheim venne poi nominato assessore del tribunale supremo e, al contempo, decise di aprire uno studio di avvocatura. E fu proprio in questa vocazione che trovò un’altra vocazione, ancor più grande e importante: quella di essere accanto agli ultimi. Cominciò a difendere diversi bisognosi che non potevano pagarlo. Nessuna ricompensa per lui, nessuna parcella per il suo operato. Vengono in mente le parole di Cristo nel Discorso della Montagna del Vangelo di Matteo, al capitolo 5: «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati». “L’avvocato dei poveri”, così venne chiamato il giovane Markus.
Ma il suo cuore voleva aprirsi ancora di più, donare ancora di più: non gli bastava solamente difendere i poveri, i miseri, voleva essere accanto a loro, seguendo il Vangelo di Cristo. E fu così che a circa 34 anni volle pronunciare il suo “Eccomi!” al Signore. Nel settembre del 1612 venne ordinato sacerdote per poi entrare nei Frati Cappuccini di Friburgo, con il nome di Fedele, il 4 ottobre dello stesso anno, giorno della festa di san Francesco d’Assisi, l’alter Christus. E proprio la vita di Cristo divenne per lui il libro più importante da seguire. Non le leggi di questo mondo ma quelle del Cielo: più importanti, più alte, più preziose.
Anche nel convento di Friburgo, subito, ci si accorse della profondità del giovane frate e così venne inviato al convento di Altdorf per esercitare il ministero della predicazione. Successivamente, nel 1618, venne nominato guardiano del convento di Rheinfelden per poi essere trasferito, l’anno seguente, nel convento di Feldkirch, sempre come predicatore.
Il campo delle conversioni al cattolicesimo fu quello in cui frate Fedele si dedicò maggiormente: la missione più importante per lui era quella di ricondurre le anime perse a Dio. Le sue parole nascevano dalla Legge divina, seme per far germogliare conversioni del cuore: erano prediche dirette le sue, semplici ma profonde. L’uditorio non poteva che rimanerne affascinato.
Proprio in quel periodo la Svizzera stava vivendo la lotta tra i cattolici e i seguaci di Ulrico Zwingli e Calvino. Frate Fedele si trovò a dover combattere contro un protestantesimo che stava prendendo sempre più piede. La sua missione era quella di predicare il Vangelo e nulla poteva distoglierlo da tale intento: il 23 aprile 1622, il frate cappuccino celebrò la Santa Messa nella chiesa di Grüsch.
Il giorno dopo, il 24 aprile, venne invitato a predicare in quella che si sarebbe poi rivelata una imboscata, a Seewis. Eccolo, il frate “intellettuale” ma semplice iniziare il suo sermone. La tradizione vuole che il suo sermone fosse incentrato sulla Lettera agli Efesini, capitolo 4: «V’è un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo». La folla, appena sentite queste parole, scoppiò in una sommossa. Prima, un uomo cercò di colpire a fuoco frate Fedele senza però riuscire ad ucciderlo. Ma poco dopo, mentre il santo stava cercando di far ritorno a Grüsch, venne accerchiato da un gruppo di persone che volevano costringerlo a rinnegare la sua fede cattolica. Non poteva, certamente, rinnegare il Signore a cui aveva dedicato l’intera sua esistenza. La folla, allora, lo travolse e lo uccise. Un martire cadeva assassinato a terra. Un santo volava verso il Paradiso.