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San Carlo Borromeo

Patrono dei catechisti e dei vescovi, conforto per gli appestati, «modello del gregge e dei pastori nei tempi moderni» (così scrisse di lui san Pio X), traendo forza da digiuni e preghiere, san Carlo Borromeo (1538-1584) operò instancabilmente per il bene, distinguendosi come uno dei più fulgidi esempi di santità che animarono la Riforma cattolica

Santo del giorno 04_11_2021 English Español

Poche persone sono riuscite a operare instancabilmente per il bene e incidere sul loro secolo e oltre come san Carlo Borromeo (1538-1584). A ragione è stato definito «un secondo Ambrogio» ed è considerato tra i più fulgidi esempi di santità che animarono la Riforma cattolica. Usò le ricchezze di famiglia per edificare ospedali e ospizi, assistette personalmente gli appestati, al Concilio di Trento promosse l’istituzione dei seminari e difese la fede dalle eresie protestanti. «Modello del gregge e dei pastori nei tempi moderni», lo chiamò Pio X nell’enciclica Editae Saepe del 1910, scritta per il terzo centenario della canonizzazione, in cui ricordò che san Carlo fu «consigliere indefesso della verace Riforma cattolica contro quei novatori recenti, il cui intento non era la reintegrazione, ma piuttosto la deformazione e distruzione della fede e dei costumi».

Era nato dal conte Gilberto e da Margherita de’ Medici, sorella di Pio IV. La sua era una famiglia agiata e di grande fede, da cui ricevette una profonda educazione cristiana che lo aiutò a rimanere umile nonostante i molteplici incarichi avuti fin da bambino. A 12 anni fu nominato abate commendatario dell’abbazia di San Leonardo e decise di devolvere interamente le rendite ai poveri. Poco dopo aver conseguito la laurea in utroque iure, l’appena eletto Pio IV lo volle a Roma e lo nominò cardinale diacono a soli 21 anni. Il pontefice rimase presto impressionato dalla svolta ascetica del nipote, che all’improvvisa morte del fratello Federico reagì abbandonandosi totalmente a Dio, intensificando i digiuni e le penitenze. La sua vita di rinunce si univa a un tratto fondamentale: l’essere un uomo d’azione, geniale e senza tregua, al punto che uno come san Filippo Neri disse di lui: «Ma quest’uomo è di ferro!».

Esercitò positivamente la sua influenza per far riaprire il Concilio di Trento, di cui fu protagonista. Non solo ottenne l’istituzione dei seminari per la formazione dei sacerdoti, ma si occupò di altre questioni primarie: difese la dottrina cattolica sul carattere sacrificale della Messa, fu presidente della commissione di teologi incaricati di scrivere il Catechismo Romano, lavorò alla revisione del Messale e del Breviario e si interessò alla musica sacra da usare durante la liturgia. Alla morte di Pio IV avrebbe potuto succedergli sul soglio petrino, ma preferì appoggiare il domenicano Michele Ghislieri, che divenne papa col nome di Pio V e favorì l’applicazione dei decreti tridentini.

San Carlo attuò le decisioni del Concilio di Trento nella sua veste di arcivescovo di Milano, una diocesi che allora si estendeva su terre svizzere, venete e genovesi e a cui da ottant’anni mancava un arcivescovo residente. Il santo la girò invece in lungo e in largo, restaurò la disciplina nel clero, ordinò ai parroci di tenere registri aggiornati, ravvivò la fede del popolo con preghiere collettive e processioni. La sua fama di santità raggiunse l’apice durante la peste del 1576-77: mentre il governatore e il gran cancelliere abbandonavano la città, lui vi tornò (si trovava fuori in visita pastorale) per soccorrere gli ammalati e organizzò una processione con la reliquia del Santo Chiodo per placare l’epidemia.

Era amatissimo dalla gente comune, ma la sua opera di riforma e la difesa del clero dalle ingerenze dei potenti non piacquero a tutti. Subì aggressioni da alcuni religiosi e perfino un fallito attentato in cui un frate degli Umiliati - un ordine poi soppresso per le sue derive protestanti - gli sparò un colpo di archibugio alle spalle mentre era in preghiera. Morì a 46 anni, provato dalla malattia, dall’attività pastorale e dalle penitenze, dopo aver testimoniato con la vita l’inscindibile connubio tra fede e opere che Lutero negava: «Le buone opere sono base dell’orazione; toglietele e non dura neppur l’orazione».

Patrono di: catechisti, vescovi; Lombardia