San Bernardo e la nascita dei monaci cavalieri
Nello scritto esortatorio Lode della nuova cavalleria, Bernardo di Chiaravalle guarda con favore al neonato Ordine templare, contribuendo a offrire diverse ragioni teologiche che riconoscono l’esigenza di difendere i pellegrini in Terrasanta in nome di Cristo.
Nel suo libro Lode della nuova cavalleria (Liber ad milites Templi. De laude novae militiae) Bernardo di Chiaravalle approfondisce le ragioni teologiche del neonato Ordine templare. Scritto tra il 1128 e il 1136 al fine di chiarire le finalità della nuova cavalleria monastica e di celebrarne la missione, il testo si colloca tra due date particolarmente significative. Nel 1128 infatti l’abate di Chiaravalle partecipa al Concilio di Troyes dove probabilmente per la prima volta viene a contatto coi Templari e contribuisce alla stesura della loro Regula, mentre nel 1136 muore Ugo di Payns, il fondatore dell’Ordine, al quale l’opera è indirizzata.
Nel contesto sociale del XII secolo, in cui violenza e uso delle armi sono all’ordine del giorno, al punto che gli stessi tornei ludici si trasformano spesso in scontri cruenti se non addirittura mortali per chi viene sconfitto, Bernardo intravede nella cavalleria monastica la possibilità di realizzare un progetto di cristianizzazione degli ideali militari. L’abate di Chiaravalle incoraggia l’innesto della componente monastica nella tradizione cavalleresca per offrire al cavaliere un più alto ideale cui aspirare senza dover rinunciare al suo ordo: combattere il male in nome di Cristo. Bernardo pone dunque la sua eloquenza al servizio dell’Ordine templare, affinché si potesse consentire ai milites feudali di canalizzare l’ordinaria violenza nell’esercizio della forza verso un nemico che, prima di essere di carne e ossa, è un nemico “metafisico” che necessita di essere sconfitto soprattutto con le armi della fede in una battaglia spirituale.
Se in specie durante l’epoca medievale il fine unificante di tutte le attività dell’uomo risiedeva nella salvezza eterna della propria anima, in una società rigidamente divisa in oratores, laboratores e bellatores, per questi ultimi - data la professione delle armi – sembrava piuttosto arduo conseguire la propria santificazione. Insomma era necessario che i cavalieri fossero sottratti alla brutalità delle guerre combattute per futili motivazioni e ai duelli accolti esclusivamente per dar libero sfogo alla propria vanagloria. Occorreva al contrario che essi si convertissero, combattendo al servizio di Cristo, Colui dal quale avrebbero ricevuto ogni bene sulla terra e nel cielo.
In virtù del suo insegnamento spirituale unanimemente riconosciuto, Bernardo non si esime dal fornire spessore teologico a una causa tanto nobile, fortificata dalla scelta dei cavalieri di abbracciare anche la regola monastica, con i relativi voti di povertà, castità e obbedienza. La grande intuizione di Ugo di Payns, impegnatosi a trasformare dall’interno l’antica tradizione cavalleresca, incontra dunque la compiacenza dell’abate di Clairvaux che, rintracciando i motivi cristologici di tale scelta, vuole fornirle solidità teologica. Ecco perché, nonostante la sua palese predilezione per l’ascesi spirituale più che per la vita mondana, egli si mostra ben felice di estendere anche ai membri della cavalleria monastica l’appellativo di milites Christi, sebbene al suo tempo questo titolo spettasse esclusivamente ai monaci.
La missione dell’Ordine templare richiede che si debba combattere non soltanto il male dentro di sé attraverso un’impegnativa vita spirituale, ma anche quello fuori di sé, rappresentato dagli infedeli, con le armi del cavaliere. Il cavaliere di Cristo deve esser dunque consapevole di collaborare, mediante la propria azione militare, all’opera di redenzione del mondo, poiché contribuisce a liberarlo da tutti i nemici della fede che ostacolano la realizzazione del Regno di Dio. Una missione sicuramente ardua e nel contempo eroica, che non è votata alla conversione forzata o peggio all’eliminazione fisica degli infedeli. I Templari erano infatti chiamati innanzitutto a difendere il cammino di tutti i pellegrini che si recavano in Terrasanta, presidiandone le strade.
Bernardo li invita ripetutamente al discernimento spirituale dei propri pensieri e delle proprie intenzioni: la loro priorità non deve essere quella di uccidere l’infedele, ma di sottrarlo dall’errore della sua falsa fede. L’uccisione dell’infedele, letta nell’ottica evangelica, sarebbe giustificabile esclusivamente come extrema ratio, ovvero per legittima difesa dinanzi a un incombente pericolo per la propria vita o in caso di attentato o minaccia concreta a quella del prossimo.
L’abate cisterciense interviene così in sincera umiltà e con profonda carità a confermare le buone ragioni del conte della Champagne, spronando tutti gli altri cavalieri mondani ad aderire al nuovo ordine, dal momento che il soldato di Cristo – che rimanga ucciso o che sia costretto a uccidere nel tentativo di difendere sino alla fine la propria vita o quella degli altri cristiani - ottiene ugualmente la salvezza. In tale ottica la morte dell’infedele è soltanto un “malicidio”, un’ulteriore occasione per sradicare il male dal mondo sottraendo l’errante al suo errore, anche al fine di favorirne l’espiazione dei peccati.
Bernardo propone infine una geografia teologica della Terrasanta, da Betlemme al Santo Sepolcro, attraverso una lettura allegorica e spirituale delle Scritture, invitando i monaci cavalieri a meditare sui grandi misteri della Redenzione compiuti in quei luoghi santi che essi sono chiamati a custodire.