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EUTANASIA

Salvatore Crisafulli, una vita contro ogni speranza

Si è spento ieri all’età di 47 anni nella sua casa di Catania Salvatore Crisafulli, l’uomo che nel 2003 a seguito di un incidente stradale era entrato in quello che allora veniva definito “stato vegetativo permanente”. Ma dopo due anni si era risvegliato. 

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Cronaca 22_02_2013
Immagine di repertorio

Si è spento ieri all’età di 47 anni nella sua casa di Catania Salvatore Crisafulli, l’uomo che nel 2003 a seguito di un incidente stradale era entrato in quello che allora veniva definito “stato vegetativo permanente”. Ma dopo due anni si era risvegliato.
Il suo caso, come altri simili avvenuti in tutto il mondo, aveva costretto la comunità scientifica a mandare in soffitta l’espressione “stato vegetativo permanente” cambiandola in “sindrome della veglia a-relazionale”.

Crisafulli visse questi ultimi anni su una sedia a rotelle, potendo comunicare solo con gli occhi e il movimento del capo tramite un pc. Ma era perfettamente cosciente di tutto. Battagliero sino alla fine, la morte lo ha colto mentre stava aspettando una risposta dal Tribunale di Catania in merito alla possibilità di accedere a delle cure a base di staminali adulte.
Questa lentezza della giustizia al fratello Pietro pare essere stata decisiva per la morte di Salvatore: “Ci hanno abbandonato” ha detto ieri ai microfoni di Tgcom24.
Proprio insieme al fratello, Salvatore aveva fondato l’associazione “Sicilia Risvegli” perché famiglie che avevano in casa un parente che stentava a “risvegliarsi” non perdessero mai la speranza.

La vicenda di Crisafulli non può che far venire alla mente quella analoga, ma finita in modo opposto, di Eluana Englaro.
Salvatore ebbe parole di fuoco contro i giudici e tutti coloro che avevano cooperato alla sua morte: “La sentenza di morte emessa dal Tribunale di Milano nei confronti di Eluana Englaro è veramente agghiacciante […]. Esistono dei parametri e dei criteri validi per confermare l’irreversibilità dello stato vegetativo? Assolutamente no […]. Prova schiacciante senza ombra di dubbio è la mia storia”. Papà Beppino diceva che sua figlia Eluana il giorno dell’incidente era morta: inutile tenere in vita un vegetale. Invece ecco cosa descrive chi come Eluana era imprigionato nel suo corpo ma viveva tale prigionia in modo assolutamente cosciente e lucido:

“Io sentivo e capivo tutto – raccontò una volta Salvatore ai giornalisti -. Durante il mio stato vegetativo io avvertivo e sentivo di avere fame e sete […]. Io sentivo, ma nessuno mi capiva. Capivo cosa mi succedeva intorno, ma non potevo parlare. Provavo con tutta la mia disperazione, con il pianto, con gli occhi, ma niente, i medici troncavano ogni speranza, per loro ero un ‘vegetale’ e che i miei movimenti oculari erano solo casuali, insomma non ero cosciente. […]
Sentivo i medici dire che la mia morte era solo questione di tempo, e iniziavo ad aprire e chiudere gli occhi per attirare l'attenzione di chi mi stava attorno”. Una vita “paralizzata” dalla speranza.

Poi ancora una stoccata ai medici e ai sostenitori della dolce morte: “Durante quegli interminabili due anni di prigionia nel mio corpo intubato e senza nervi, ero io il muto o eravate voi, uomini troppo sapienti e sani, i sordi? Ringrazio i miei cari che, soli contro tutti, non si sono mai stancati di tenere accesa la fiammella della comunicazione con questo mio corpo martoriato e con questo mio cuore affranto, ma soprattutto con questa mia anima rimasta leggera, intatta e vitale come me la diede Iddio. Ringrazio chi, anche durante la mia ‘vita vegetale’, mi parlava come uomo, mi confortava come amico, mi amava come figlio, come fratello, come padre. Ma cos’è l’eutanasia, questa morte brutta, terribile, cattiva e innaturale mascherata di bontà e imbellettata col cerone di una falsa bellezza?

Dove sarebbe finita l’umana solidarietà se coloro che mi stavano attorno durante la mia sofferenza avessero tenuto d’occhio solo la spina da sfilare del respiratore meccanico, pronti a cedermi come trofeo di morte, col pretesto che alla mia vita non restava più dignità? Ebbene, Mamma, quando mi coprivi di baci e di preghiere, anch’io avrei voluto stringerti quella mano rugosa e tremante, ma non ce la facevo a muovermi né a parlare, mi limitavo a regalarti lacrime anziché suoni. Erano lacrime disprezzate da celebri rianimatori e neurologi, grandi ‘esperti’ di qualità della vita, ma era l’unico modo possibile di balbettare come un neonato il mio più autentico inno all’esistenza avuta in dono da te e da lui.

Sì, la vita, quel dono originale, irripetibile e divino che non basta la legge o un camice bianco a togliercela, addirittura, chissà come, a fin di bene, con empietà travestita di finta dolcezza. Credetemi, la vita è degna d’essere vissuta sempre, anche da paralizzato, anche da intubato, anche da febbricitante e piagato”. Sulla sua pagina Facebook Salvatore ha scelto questa frase di presentazione che oggi leggiamo come un commovente commiato: "Quando il mio corpo sarà cenere il mio nome sarà leggenda".

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