Salta il patto sul sistema tedesco. Il voto si allontana
Alla Camera, è passato, con 59 franchi tiratori, l’emendamento sul sistema elettorale in Trentino Alto Adige, presentato dalla forzista Micaela Biancofiore. E così seppellisce sul nascere la nuova legge elettorale che avrebbe voluto introdurre il sistema tedesco (proporzionale con sbarramento al 5%). FI, Lega, PD e M5S si accusano a vicenda.
Volano gli stracci tra Pd e Movimento Cinque Stelle dopo la rottura del patto a quattro sulla legge elettorale. Ieri, infatti, alla Camera, è passato, con 59 franchi tiratori, l’emendamento sul sistema elettorale in Trentino Alto Adige, presentato dalla forzista Micaela Biancofiore, sul quale il relatore di maggioranza, il dem Emanuele Fiano, e i gruppi che sostengono l’accordo, hanno invece espresso voto contrario. Ora Pd e Movimento Cinque Stelle, ma anche Forza Italia e Lega, si accusano tra di loro di aver fatto saltare il tavolo della trattativa sul sistema tedesco. Un caos peraltro prevedibile, perché in Parlamento siedono centinaia di parlamentari già certi di non essere ricandidati, e che dunque preferiscono remare contro qualsiasi intesa, pur di prolungare la loro permanenza in Camera e Senato fino alla scadenza naturale della legislatura.
Il partito del voto nel 2018 è capitanato dall’ex Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ma può contare su militanti di tutto rispetto, da Romano Prodi a Walter Veltroni, da Enrico Letta a Mario Monti. Si tratta di soggetti che elettoralmente non hanno più il peso di una volta, ma che in molte cancellerie europee hanno ancora ascendente e se dicono qualcosa lo fanno quasi sempre a ragion veduta.
D’altra parte l’unico davvero interessato ad andare alle urne al più presto è Matteo Renzi, smanioso di tornare a Palazzo Chigi. Aveva promesso di ritirarsi dalla vita politica in caso di sconfitta al referendum del 4 dicembre, ma si è ripreso la guida del suo partito in due mesi, senza un vero dibattito precongressuale, con primarie-farsa, e ora non vede l’ora di tornare a fare il premier. Ecco perché in molti sospettano che ad aver fatto saltare il tavolo della trattativa sul sistema elettorale siano stati proprio alcuni suoi fedelissimi, con l’evidente intento di avvelenare il clima, rendendo così impossibile la navigazione dell’esecutivo guidato da Paolo Gentiloni. Per sciogliere le Camere occorre constatare la mancanza di una maggioranza parlamentare e quindi, essendo difficile da “architettare” un vero incidente parlamentare che provochi la caduta del governo, ecco creato ad arte uno scontro sulla legge elettorale. Un modo per scaricare sui grillini le responsabilità di aver mandato all’aria l’intesa.
La verità è che fra due giorni ci sono le elezioni amministrative e i partiti non vogliono dare l’impressione ai rispettivi elettori di aver fatto intese trasversali e inciuci indigesti. Meglio marcare le distanze, almeno fino a domenica e, in caso di ballottaggi importanti, fino a domenica 25. La base pentastellata, tanto per fare un esempio, non è così compatta sulla nuova legge elettorale, anzi ritiene che si debba piuttosto lasciar logorare Renzi per un altro anno, votando nel 2018 con il Consultellum. Se l’attuale esecutivo a guida Pd restasse in carica anche dopo l’autunno, dovrebbe infatti occuparsi della patata bollente della manovra finanziaria.
Neppure Forza Italia è granitica al suo interno. Molti colonnelli berlusconiani esprimono perplessità su questa accelerazione verso il voto, anche perché né il partito né l’intero centrodestra hanno una guida carismatica e presentabile in vista delle urne (Berlusconi non è candidabile perché la Corte europea non pare intenzionata a discutere in tempi brevi la sua richiesta di “riabilitazione”). Pertanto, al di là delle parole, aspettare un altro anno per votare non sarebbe un dramma per gli azzurri, accreditati nei sondaggi di un 10-12%.
Dello stallo sulla legge elettorale e del conseguente allontanamento dell’ipotesi di voto in autunno sono pronti a beneficiare anche i sovranisti Salvini e Meloni, che puntano proprio sul fallimento dell’”inciucellum” e del “Nazareno bis” e dunque sul logoramento dei due principali attori di quell’accordo (Renzi e Berlusconi).
Sia il Movimento Cinque Stelle che la Lega potrebbero trarre vantaggio da elezioni a scadenza naturale, poiché ben difficilmente Renzi potrebbe appoggiare il governo Gentiloni per un altro anno senza subire i contraccolpi elettorali delle sue decisioni impopolari sul fronte economico-finanziario.
Ora il testo della legge elettorale ritorna, su richiesta del Pd, in Commissione Affari Costituzionali di Montecitorio per un supplemento di discussione. I tempi inevitabilmente si allungano. E poi non è più così scontato rimettere in piedi l’accordo. Quand’anche alla Camera si ritrovasse la quadra, ben difficilmente al Senato ci sarebbero i numeri per approvare il testo. Il “Vietnam” sarebbe dietro l’angolo, sia per il malessere degli alfaniani e dei vari cespugli centristi, sia per quello dei franchi tiratori dei partiti maggiori. A quel punto, solo un decreto per uniformare i sistemi di voto di Camera e Senato potrebbe realizzare i sogni renziani di elezioni anticipate. Ma alla fine l’ultima parola sarà sempre e comunque quella del Presidente della Repubblica.