Sako invoca dai capi musulmani la libertà religiosa
Il patriarca caldeo Louis Raphaël I Sako, capo della martoriata chiesa cattolica caldea, la più numerosa comunione cristiana dell’Iraq, ha inviato un suo messaggio alla Conferenza per la difesa «dei diritti delle minoranze religiose nel Paesi prevalentemente musulmani» convocata a Marrakesh dal re del Marocco.
Quali che ne siano gli attuali limiti in termini sia di consenso popolare sia di eventuale soggezione al progetto politico di questo o di quel governo, è benvenuto tutto ciò che nel mondo musulmano contribuisce ad incrinare la pretesa dell’integralismo islamico di esserne oggi l’unica voce autentica. Perciò non si può che apprezzare e condividere l’iniziativa del patriarca caldeo Louis Raphaël I Sako, capo della martoriata chiesa cattolica caldea, la più numerosa comunione cristiana dell’Iraq, il quale non ha esitato a indirizzare un suo ampio messaggio alla Conferenza per la difesa “dei diritti delle minoranze religiose nel Paesi prevalentemente musulmani” convocata a Marrakesh il 26-27 gennaio scorso dal re del Marocco, Maometto VI, con il sostegno un grosso centro culturale con sede negli Emirati Arabi Uniti.
Alla Conferenza, che vedeva la partecipazione di oltre 250 personalità musulmane sia religiose che politiche, erano invitate in qualità di ospiti e di testimoni anche personalità rappresentative delle minoranze in questione. L’incontro si è concluso con la firma di una “Dichiarazione di Marrakesh” nella quale, rifacendosi alla Costituzione o Carta di Medina, che venne siglata dallo stesso Maometto, si lancia un appello agli «studiosi e intellettuali musulmani di ogni parte del mondo perché sviluppino una giurisprudenza sul concetto di “cittadinanza” che sia inclusivo dei vari gruppi. Tale giurisprudenza dovrà essere fondata sulla tradizione e sui principi islamici e tenere conto dei cambiamenti in atto alla scala globale». Nel medesimo spirito la Dichiarazione continua con analoghi appelli alle «autorità e alle istituzioni educative musulmane», ai «politici e decisori», alle «persone colte, agli artisti, ai creativi» e così via fino a concludersi con l’affermazione che «è inconcepibile servirsi della religione per reprimere i diritti delle minoranze religiose nei Paesi musulmani».
Restano in ombra dei punti importanti, come innanzitutto il riconoscimento della libertà di convertirsi dall’islam a un’altra fede religiosa, ma ciononostante conserva tutta la sua cruciale importanza l’appello, vero punto-chiave della Dichiarazione, a costruire nel quadro della fede e del pensiero islamico un concetto di cittadinanza inclusivo anche dei non-musulmani. Da questo punto di vista, la Dichiarazione di Marrakesh procede oltre il pur già importante Messaggio di Amman pubblicato nel 2004, nella città da cui prende nome, al termine di un’analoga conferenza convocata dal re di Giordania Addallah II al fine di «ribadire i valori fondamentali di compassione dell'Islam , di mutuo rispetto, di tolleranza, di accettazione e libertà di religione».
Tale Conferenza, cui parteciparono circa 200 studiosi musulmani provenenti da 50 diversi Paesi del mondo, era stata riunita, come affermò lo stesso Abdallah II nel suo discorso di apertura, in risposta al fatto che «il messaggio islamico di tolleranza è stato sottoposto a un duro e ingiusto attacco da un lato di una parte dell'Occidente che non capisce l'essenza dell'Islam, e dall’altro da persone che, sostenendo di essere associate con l'Islam, si nascondono dietro l'Islam per commettere atti irresponsabili».
Nel suo messaggio alla Conferenza di Marrakesh, il patriarca Sako segnalava con molta fermezza e precisione i limiti che non solo nel diritto ma anche nella prassi amministrativa e giudiziaria, nonché nel costume, i cristiani e le altre minoranze incontrano in Iraq nella loro vita di ogni giorno. E sulla base di tali esempi chiedeva ai musulmani di buona volontà di porre rimedio con un impegno puntuale ad ogni livello alle discriminazioni di cui i non-musulmani sono oggetto nei Paesi a maggioranza islamica. Nei dettagliati appelli, con cui la Dichiarazione di Marrakesh si conclude, l’eco della concretezza delle richieste di monsignor Sako sembra evidente.
In ogni caso il cammino resta ancora lungo, ma questi tentativi di auto-riforma dell’Islam meritano di venire guardati con simpatia e anche sostenuti pur con tutta la necessaria discrezione. Riconosciuti entrambi come discendenti diretti del Profeta, i due re del Marocco e di Giordania hanno nel mondo musulmano un ruolo simbolico e un prestigio senza paragoni rispetto a qualsiasi altra attuale autorità. Ci si deve augurare che queste loro iniziative abbiano il massimo successo possibile.