Sabatier, il modernista che scriveva su san Francesco
Vissuto tra il XIX e XX secolo, Paul Sabatier, calvinista, partecipò al modernismo, movimento che cercò di snaturare la fede cattolica. Si dedicò a studiare san Francesco, scrivendone una biografia molto venduta, in cui dipingeva il grande santo d’Assisi nella Chiesa “suo malgrado”. Uno stravolgimento evidente dell’azione di san Francesco, che fu fedele figlio della Sposa di Cristo.
Una delle figure più importanti nel panorama religioso a cavallo fra XIX e XX secolo fu quella del pastore calvinista Paul Sabatier (1858-1928). Fu importante almeno per due ragioni. La prima è la sua attiva partecipazione al movimento modernista, quel movimento che cercava una conciliazione della Chiesa con certo pensiero moderno in sé antitetico al pensiero cristiano e quindi non armonizzabile senza accettare un corrodimento interno del pensiero stesso.
Sabatier dimostrò come il modernismo di area cattolica collimasse con le istanze del protestantesimo liberale e il suo è certamente uno dei nomi che si trova costantemente citato nella corrispondenza dei modernisti più importanti. Ettore Passerin d’Entrèves, introducendo un carteggio tra Sabatier e Antonio Fogazzaro, un’altra figura centrale del modernismo, diceva: «Sabatier puntava comunque su di un cattolicesimo nuovo, alleato di ogni moto progressivo dello spirito umano, sia nel campo culturale che in quello politico: queste sue aspirazioni spiegano come egli si volgesse con tanta simpatia verso i cattolici liberali modernisti, mentre asseriva che “le sette protestanti sussistono come monumento storico”, e che “protestantesimo e anglicanesimo sono solo più esteriorità fissate e stereotipate”» (in Fonti e Documenti, 1973, Urbino: Centro Studi per la Storia del Modernismo).
Ma accanto a questa sua battaglia ideologica, Sabatier condusse un’altra battaglia intellettuale non meno importante, quella per gli studi francescani. Egli fondò nel 1902, ad Assisi, la Société internationale des études franciscaines; in precedenza, nel 1893, aveva pubblicato una vita di san Francesco che si rivelò un vero bestseller, tradotto nelle principali lingue e con svariate edizioni. Certo, questi studi vanno visti con grande cautela perché, senza disconoscere i meriti da pioniere di Sabatier, non si può che dubitare sull’effettiva resa della figura del grande santo di Assisi, uno dei santi che più è stato manipolato per farlo sembrare ora ecologista, ora ambientalista, ora pacifista e via dicendo. Un destino non lontano da quello di altre figure importanti della storia cristiana, come quella di Matteo Ricci che sta conoscendo una sorte simile.
A indirizzare Sabatier verso il lavoro su san Francesco fu Ernest Renan, che fu suo insegnante. E questo ci dice già molto. Mario Niccoli (in Enciclopedia Italiana, 1936) così inquadra il lavoro di Sabatier: «La sua brillante e suggestiva Vie de Saint François (Parigi 1893; oltre 40 ed. successive e trad. in tutte le lingue principali), impostasi al gran pubblico anche per i suoi innegabili pregi di stile, spesso di sapore alquanto renaniano, accolta favorevolmente anche dai cattolici e poi messa all’Indice (1894), ha certo il merito di avere esattamente definito il carattere della personalità di San Francesco dipingendolo come il puro teodidatta, il profeta che non deve nulla, nella sua formazione religiosa, alla Chiesa e che fu trascinato a inserire la sua azione nell’ambito dell’azione curiale quasi suo malgrado; ma appare oggi superata soprattutto per un deficiente inquadramento dell’azione di San Francesco nei movimenti religiosi italiani dei secoli XII e XIII, e per l’insensibilità del S. a cogliere i presupposti e i riflessi sociali e politici della predicazione francescana».
Quindi, in definitiva, Sabatier dipinse un san Francesco nella Chiesa cattolica “suo malgrado”, il che è certamente un distorcimento dell’azione del Poverello di Assisi. Elena Pierotti echeggia l’interpretazione di Niccoli: «Del resto il periodo in cui Paul Sabatier maturò e pubblicò la sua celebre opera Vita di San Francesco d’Assisi, periodo in cui lo stesso Lazzareschi visse, coincise con il declino del positivismo filosofico e il sorgere “di un nuovo romanticismo, velato di toni liberali vagamente antichiesastici”».
In realtà, san Francesco fu figlio fedele della Chiesa, tanto che Dio stesso gli chiese di ripararla. E la Chiesa lo ha onorato molto, fino a proclamarlo patrono d’Italia, insieme a santa Caterina da Siena. In quell’occasione, nel 1939, Pio XII diceva: «San Francesco poverello e umile vera immagine di Gesù Cristo, diede insuperabili esempi di vita evangelica ai cittadini di quella sua tanto turbolenta età, e ad essi anzi, con la costituzione del suo triplice ordine aprì nuove vie e diede maggiori agevolezze, per la correzione dei pubblici e privati costumi e per un più retto senso dei principi della vita cattolica».
Bisogna liberare san Francesco e altri come lui dalle tante incrostazioni storiografiche che alcuni - magari con tutte le buone intenzioni di questo mondo, altre volte meno - continuano a costruire intorno alle loro figure. È certo comodo cercare di usare questi personaggi per intraprendere delle battaglie d’idee che però, certamente, queste luminose figure della Chiesa mai avrebbero voluto combattere.