Rwanda, un atto di dolore per chiarire le responsabilità
Alla conclusione del Giubileo, la Conferenza Episcopale del Rwanda pronuncia un atto di dolore per tutti i sacerdoti che, dimentichi del patto con Dio e in violazione dei Comandamenti, presero parte al genocidio dei tutsi nel 1994. E scagiona la Chiesa che "non ha indotto nessuno ad agire male".
La Conferenza episcopale del Rwanda domenica scorsa, giorno di chiusura del Giubileo della Misericordia, ha disposto che in ogni parrocchia del paese venisse letta una lettera pastorale firmata da nove vescovi, in rappresentanza di tutte le diocesi. La prima parte del documento è un ringraziamento a Dio per tutti i suoi doni. Nella seconda parte la Chiesa rwandese chiede perdono per il ruolo svolto da alcuni suoi componenti nel genocidio dei Tutsi.
Il 7 aprile del 1994 gli Hutu, l’etnia più numerosa e all’epoca detentrice del potere, dava inizio allo sterminio dei Tutsi e di decine di migliaia di Hutu moderati. Nei 100 giorni successivi furono uccise da 800.000 a un milione di persone. Poi le milizie tutsi addestrate nel vicino Uganda, dove molti Tutsi erano fuggiti nel corso degli anni, riuscirono a prendere il controllo del paese che da allora è governato dal loro leader, Paul Kagame. Sono poi trascorsi 22 anni durante i quali si è avviato un processo di conciliazione tuttora in corso, difficilissimo: perchè il tribalismo è profondamente radicato in Africa e perchè in Rwanda lo scontro etnico è stato spaventosamente cruento, non esiste persona che non vi abbia contribuito o non ne sia stata vittima.
È in questo contesto che si capisce l’intenzione, il valore e la funzione di un atto di dolore pronunciato oggi, a distanza di tanto tempo, e per colpe commesse da cristiani, anche da sacerdoti e suore, mai però ispirati e spinti dalla Chiesa che in nessun modo ha avuto un ruolo diretto nel genocidio. “Anche se la Chiesa non ha indotto nessuno ad agire male – si legge nel documento – noi sacerdoti cattolici in particolare chiediamo ancora una volta perdono per i sacerdoti, per le persone votate al servizio di Dio e per tutti i cristiani in generale che hanno partecipato in qualche modo al genocidio. Ci rende molto infelici pensare che alcuni di noi abbiano ignorato il patto con Dio siglato con il Battesimo e abbiano trasgredito i suoi Comandamenti. Ci scusiamo per tutti i peccati di odio e per tutte le divisioni create nel nostro paese al punto da indurre a odiare a morte i propri connazionali solo perchè di etnia diversa”.
Segue un’invocazione a Dio affinchè tocchi i cuori di coloro che hanno condiviso e istigato tanto odio, li converta, e aiuti chi ha fatto del male a pentirsi, a riconciliarsi con i sopravvissuti, a confessare le proprie colpe per chiedere e ottenere infine perdono.
Sono queste le frasi che fanno capire quanto sia ancora lungo in Rwanda il cammino da percorrere, quanta ansia, quanta preoccupazione nutrano le persone di buona volontà per la possibilità che divisioni e odio tribali riprendano un giorno il sopravvento.
Non si può chiedere perdono per conto di chi ha agito male e non si pente. Ma si può – ed è questo il significato del documento – proclamare la totale dissociazione della Chiesa dall’ideologia genocida e da ogni atto e pensiero di odio. “Chiediamo perdono – prosegue il testo – per i Pastori cristiani che hanno provocato lo scontro e hanno sparso i semi dell’odio. Chiediamo perdono perchè molto spesso noi non abbiamo testimoniato con sufficiente fermezza di essere una sola famiglia, non abbiamo fatto abbastanza per impedire il genocidio e perciò tanti rwandesi hanno ucciso dei loro connazionali, li hanno umiliati, ne hanno saccheggiato i beni”.
“Vogliamo che sia del tutto chiara la posizione della Chiesa a proposito del genocidio – ha spiegato Monsignor Philippe Rukamba, vescovo di Butare, illustrando l’iniziativa – non devono sussistere dubbi sul fatto che la Chiesa è contro qualsiasi forma di odio, che non ha minimamente partecipato al genocidio anche se dei suoi membri se ne sono resi colpevoli. Si deve sapere al di là di ogni dubbio che il genocidio è stato pianificato dal governo, certo non dalla Chiesa, e che a compierlo sono stati dei Rwandesi, tra cui dei membri della Chiesa. La nostra lettera vuole spiegare a tutti, non solo in Rwanda, come consideriamo il genocidio dei Tutsi e le sue conseguenze. A tal fine abbiamo disposto che questo documento, redatto in kinyarwanda, venga tradotto in francese, inglese e in altre lingue affinchè tutto il mondo possa capirlo.
Jean-Damascène Bizimana, segretario della Commissione nazionale per la lotta contro il genocidio, ha approvato l’iniziativa della Conferenza episcopale, specialmente perchè tutto il clero rwandese l’ha condivisa: “risponde a chi in questi anni ha nutrito dei dubbi sul ruolo della Chiesa nel genocidio. Adesso bisogna che i membri della Chiesa che vi hanno partecipato si facciano avanti e a loro volta chiedano perdono, sacerdoti e suore compresi”.
Anche Jean-Pierre Dusingizemungu, presidente dell’organizzazione non governativa Ibuka, nata per ricordare il genocidio, assicurare alla giustizia i responsabili e soccorrere i sopravvissuti, ha approvato la lettera dei vescovi. Secondo lui, anzi, le scuse arrivano in ritardo e tuttavia aiuteranno la giustizia, la ricostruzione e la lotta all’ideologia genocida e al negazionismo.