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LA CRISI

Russia-Ucraina, fermare le armi prima che sia troppo tardi

La vicenda dei due droni esplosi sopra il Cremlino, qualunque siano i responsabili, prelude a una ulteriore escalation della guerra russo-ucraina. Ma la cosa ancora più preoccupante è che tutti lavorano pensando che la guerra sia la strada per risolvere i problemi. 

Editoriali 05_05_2023

La vicenda dei due droni esplosi sopra il Cremlino fa guadagnare di nuovo le aperture di giornali e notiziari radio e tv al conflitto russo-ucraino. Sul terreno, al momento, non ci sono cambiamenti rilevanti ma ci si attende – come conseguenza - una ulteriore escalation e in ogni caso il fatto in sé è comunque carico di significato, malgrado non sia chiara dell’azione né la responsabilità né l’esatta dinamica.

Di sicuro c’è il fatto che nella notte tra martedì e mercoledì c’è stata una esplosione di un oggetto volante sopra il Cremlino, testimoniato da alcuni video diffusi: due droni utilizzati per un tentativo di attentato al presidente russo Vladimir Putin, ha detto subito Mosca, precisando comunque che non ci sono stati feriti e Putin era in un altro luogo.

Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha immediatamente indicato nell’Ucraina la responsabile dell’attacco e più tardi ha aggiunto che il mandante sono gli Stati Uniti: «Le decisioni su questi attacchi non sono fatte a Kiev, ma a Washington», ha detto Peskov.
Accuse immediatamente respinte da Kiev e Washington. «È un’affermazione ridicola», ha detto il portavoce del Consiglio di Sicurezza nazionale statunitense John Kirby, che ha aggiunto: «Gli Stati Uniti non c’entrano nulla. Noi non sappiamo neanche cosa sia veramente accaduto, ma posso assicurare che gli Stati Uniti non hanno avuto alcun ruolo in questo». Kirby ha anche detto che gli Stati Uniti non hanno incoraggiato o permesso all’Ucraina di colpire oltre i propri confini o appoggiato azioni dirette a colpire singoli leader politici. Il governo di Kiev dal canto suo ha rigirato le accuse contro il mittente, affermando che si è trattato di un’operazione decisa a Mosca per giustificare una nuova escalation del conflitto.

In realtà tutte queste ipotesi – responsabilità di Kiev e Stati Uniti, di Kiev senza Stati Uniti, di Mosca stessa – sono possibili, ma è assai probabile che non sapremo mai cosa veramente è accaduto e di chi è la responsabilità. Possiamo però prevedere una dura risposta di Mosca, peraltro già annunciata, proporzionata alla inedita immagine di vulnerabilità offerta da un Cremlino che può essere raggiunto tranquillamente da due droni.
Nello stesso tempo il presidente ucraino Volodymyr Zelenski in visita all’Aja, sede della Corte Penale Internazionale, ha chiesto la creazione di un Tribunale speciale per giudicare i «crimini di aggressione» della Russia e il presidente Putin in particolare. E ai capi di governo di Belgio e Olanda – dopo quelli dei paesi nordici - ha chiesto e ottenuto più aiuti militari da spedire rapidamente promettendo al contempo l’adesione dell’Ucraina alla Nato alla fine della guerra.

Insomma, tutto parla di intensificazione della guerra; solo la voce di papa Francesco e dell’Ungheria invocano la pace, ma suonano come sussurri in mezzo al coro di voci di leader politici che urlano per la guerra. Tutte le parti in causa sono convinte di poter guadagnare qualcosa dal proseguimento dei combattimenti: che sia avvantaggiarsi sul terreno per trattare da una posizione di forza o logorare il nemico, poco importa, la lezione della storia non è stata ancora imparata.

La guerra non ha mai risolto i problemi, al massimo ha creato i presupposti per la guerra successiva. E anche una guerra legittima di difesa ha i suoi criteri e condizioni, come abbiamo già più volte sottolineato, che sono già state ampiamente disattese. Così si continua l’escalation, pensando di poter tenere sempre tutto sotto controllo. Il caso dei droni sopra il Cremlino dimostra ancora una volta però che basta un evento non previsto per poter far degenerare il tutto. E anche se non si arrivasse al peggio, le migliaia di vittime – civili e militari - già registrate, i milioni di profughi, la miseria provocata, l’odio generato da tanta violenza costituiscono già un fardello così tragico che nessun accordo di pace potrà mai bilanciare. E più si va avanti, più questo bilancio si aggraverà.

Si deve solo sperare – e pregare - che tra i leader mondiali possa nascere la consapevolezza che la guerra non ristabilirà mai la giustizia né risolverà i contenziosi. Un immediato cessate il fuoco è la condizione indispensabile per iniziare un cammino che porti a una soluzione negoziata ed eviti che di escalation in escalation si arrivi al peggio.