Russi via da Kherson, inizia la nuova fase del conflitto
Per ora è solo un annuncio e gli ucraini lo prendono con cautela, ma il ministro della Difesa russo Shoigu ha annunciato in televisione che intende abbandonare Kherson, per ritirarsi sulla riva orientale del Dnepr. La guerra può entrare in una nuova fase, perché i russi parlano insistentemente di negoziati per consolidare lo status quo.
L’annuncio russo del ritiro dai territori della regione di Kherson sulla riva destra del fiume Dnepr potrebbe segnare una svolta, più politica che militare, nel conflitto in Ucraina. Il ministro della difesa russo Sergei Shoigu ha ordinato il 9 novembre il ritiro delle truppe da Kherson, inclusa la città omonima, e il loro rischieramento sulla sponda sinistra del fiume Dnepr dove da settimane erano in corso lavori di costruzione di fortificazioni.
I vertici ucraini incluso il presidente Volodymyr Zelensky hanno preso con cautela l’annuncio russo che di fatto dà il via a un ritiro che potrebbe svilupparsi per alcuni giorni o addirittura per settimane. Le forze di Mosca sul lato sinistro del Dnepr sono stimate in oltre 20mila uomini (addirittura 40mila secondo alcune stime) appartenenti ai migliori reparti di fanteria leggera (fanteria di Marina e truppe aviotrasportate) che finora hanno difeso con successo la testa di ponte oltre il Dnepr che avrebbe dovuto aprire ai russi la strada per Odessa. Dall’agosto scorso invece le forze di Mosca sono sulla difensiva, attaccate da oltre 100mila soldati ucraini che hanno subito perdite spaventose pur conquistando alcune porzioni di quel territorio.
Il ritiro dalla città di Kherson costituisce una sconfitta sul piano militare e simbolico poiché la città è l'unico capoluogo regionale conquistato dai russi dall'inizio del conflitto e la regione di Kherson è una delle quattro annesse alla Federazione Russa in seguito ai referendum di fine settembre. Una sconfitta, ma non una disfatta o più probabilmente un ridimensionamento delle ambizioni dell’operazione speciale varata da Mosca il 24 febbraio che fa seguito al ritiro in settembre dalla regione di Kharkiv, avvenuto però con un repentino ritiro di fronte all’offensiva ucraina che sfondò facilmente linee difensive quasi del tutto sguarnite di armi e truppe.
Il comandante delle truppe russe in Ucraina, il generale Sergey Surovikin, ha ricevuto dal ministro Shoigu l’ordine di avviare il ritiro secondo un piano messo a punto dallo stesso Surovikin subito dopo aver assunto il comando, quando diede il via all’evacuazione di tutti i civili che volevano lasciare le loro case a Kherson e negli altri centri sulla riva sinistra del Dnepr. Un esodo che ha visto muoversi verso la Crimea e il territorio russo 88mila abitanti della città (che prima della guerra ne contava 300 mila) e 115mila dell’intera regione.
Di fatto i russi hanno evacuato la popolazione, fedele a Mosca, per sottrarla ai bombardamenti ucraini e soprattutto alle feroci rappresaglie che le milizie nazionaliste inserite nei servizi di sicurezza di Kiev hanno perpetrato (nel silenzio dei media occidentali) nei territori riconquistati dall’esercito ucraino. Sotto l’incalzare di forze ucraine numericamente preponderanti (Kiev ha pochi giorni fa avviato il reclutamento forzato di altri 100mila uomini) Surovikin ha suggerito la “decisione difficile” di ritirare la linea di difesa lungo la sponda sinistra del Dnepr. "Capisco che questa sia una decisione molto difficile", ha detto Surovikin, spiegando che la scelta è legata anche all'eventualità di un attacco di Kiev alla diga di Novaya Kakhovka, più volte colpita dai razzi ucraini nei giorni scorsi. "In questo caso ci sarebbe un'ulteriore minaccia per la popolazione civile e il completo isolamento del nostro gruppo di truppe sulla riva destra del Dnipro. In queste condizioni, l'opzione più appropriata è organizzare la linea difensiva lungo la riva sinistra", ha detto Surovikin.
Una decisione che consentirà, se attuata, di ridurre l’impegno in prima linea di molti reparti e di condurre offensive in altri settori come quelli di Lugansk e Donetsk dove i russi hanno ripreso ad avanzare anche se con progressi minimi sul terreno. A sostenere le buone ragioni del piano di ritirata sono scesi in campo anche i due maggior esponenti del fronte nazionalista-patriottico e fautori della guerra in Ucraina, il leader della milizia privata Wagner, Yevgeny Prigozhin e il leader ceceno Ramzan Kadyrov, vicino al Cremlino.
A Kiev non mancano le reazioni perplesse. Il consigliere presidenziale Mikaylo Podolyak ha fatto sapere di "non vedere segnali che la Russia lascerà Kherson senza combattere". Anzi ha affermato che parte del contingente "rimane all'interno della città", mentre si prevede l'arrivo di nuovi rinforzi russi nella regione. "Noi liberiamo territori sulla base di informazioni di intelligence, e non di dichiarazioni alla tv" che appaiono come una "messa in scena". I piani di ritiro russi sembrano confermati dal fatto che sono stati fatti esplodere almeno 5 ponti, per rallentare l’avanzata nemica, ma in guerra non si può mai escludere che venga utilizzata l’arma dell’inganno così come pare scontato che i russi in ritirata abbiano lasciato molte aree minate per mettere in difficoltà gli ucraini. Altri segnali sembrerebbero indicare la volontà russa di ritirarsi oltre il Dnepr, come il reiterato invito a Kiev a negoziare sulla base della "attuale situazione", come ha fatto sapere per ultima la portavoce del ministero di esteri Maria Zakharova.
Il che significherebbe trattare accettando che i russi mantengano il controllo dei territori a oggi sotto il loro controllo. Scontata la risposta negativa degli ucraini che confermano di voler trattare solo dopo il ritiro totale dei russi dal territorio ucraino, Crimea inclusa. Il ritiro russo da Kherson rappresenta un importante segnale puramente politico inviato da Mosca e rivolto però all’Occidente, non agli ucraini. Non deve sfuggire che l’annuncio del ritiro è stato effettuato il giorno dopo le elezioni di mid-term negli Stati Uniti e anche se il presidente Joe Biden lo ritiene un "ulteriore segnale dei problemi che stanno affrontando" non c’è dubbio che Washington e Mosca stiano trattando segretamente una via d’uscita dal conflitto. Certo Biden ha aggiunto che “rimane da vedere se le autorità ucraine saranno pronte a scendere a compromessi con la Russia" ma è altrettanto chiaro che tali opzioni non sono nelle mani di Kiev.
L’Ucraina è in ginocchio tra danni di guerra, morti militari re civili, black-out elettrico che minaccia di costringere milioni di cittadini a cercare un rifugio in Europa per l’inverno. Solo il sostegno militare dei paesi della NATO consente a Kiev di continuare a combattere, per ora. E’ evidente quindi che l’Occidente ha a disposizione la leva degli aiuti militari ed economici per indurre Zelensky a trattare. Forse non a caso ieri il Wall Street Journal ha reso noto che il Pentagono ha deciso di non fornire a Kiev i grandi droni armati americani Grey Eagle nel timore che questo potesse portare a un'escalation del conflitto.