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IL FILM

Russi o nazisti? Il reportage censurato su Katyn

Un nuovo film sulla strage di Katyn e sulle false attribuzioni naziste e la complicità britannica per sostenere i fragili equilibri di Yalta. 

Cinema e tv 19_07_2018

Si narra che l’etrusco Tarquinio il Superbo, ultimo dei mitici sette re di Roma, passeggiava in un campo di papaveri e lì riceveva notizie su Veio, la città nemica. Poiché si trattava di un osso duro, gli si chiedeva con quale strategia piegarla. Tarquinio, senza dire niente, col suo bastone decapitò i papaveri più alti. L’interlocutore capì che si doveva eliminare i capi di Veio. Da questo aneddoto la locuzione «alti papaveri» per indicare gli esponenti di spicco, modo di dire che è rimasto fino ad oggi e fu confermato da Nilla Pizzi, che in uno dei primi Festival di Sanremo cantò la celebre canzone Papaveri e papere. Il brano all’epoca suscitò i malumori di alcuni esponenti della Dc, che avevano capito l’antifona («Lo sai che i papaveri son alti, alti, alti, e tu sei piccolina…»).

Lo stesso sistema di Tarquinio usarono i sovietici nel 1939, quando, alleati con Hitler, invasero la parte orientale della Polonia. L’anno dopo rastrellarono quindicimila polacchi tra ufficiali dell’esercito, docenti e professionisti, li portarono nella foresta di Katyn e li trucidarono uno ad uno col classico colpo alla nuca da parte dell’Nkvd, antenata del Kgb, poi li seppellirono in fosse comuni sul posto. Quando, nel 1941, Urss e Germania divennero nemici e i tedeschi occuparono l’intera Polonia, nel 1943 le fosse vennero scoperte e fu facile ai sovietici addossare la colpa dell’eccidio ai nazisti.

Questi mostrarono alla stampa internazionale le migliaia di cadaveri esumati per l’occasione e dissero quel che era vero, cioè che erano stati i russi. Ma non vennero creduti, anche e soprattutto perché l’Unione Sovietica era adesso alleata delle potenze occidentali. Perché i russi ammettessero la loro responsabilità occorse attendere la dissoluzione dell’impero comunista: solo nel 1993 l’allora premier Gorbacev ammise tutto. La Polonia, a guerra finita, era diventata comunista ed era entrata nell’orbita dell’impero sovietico, perciò adesso la verità ufficiale era che la decapitazione della sua classe dirigente era avvenuta per mano nazista.

Nel 2008 il regista polacco Andrzej Wajda ci fece un film, Katyn, che ebbe una nomination agli Oscar quale miglior film straniero. Anche l’americana Hollywood, dunque, ammetteva la verità. E la verità era che americani e inglesi sapevano bene che i nazisti non mentivano su Katyn, ma avevano preferito accreditare la versione sovietica, anche perché la divisione dell’Europa in due blocchi era stata decisa a Yalta e doveva perdurare.

E bisognò attendere il 2018, cioè oggi, perché un altro film puntasse il dito su questa complicità: The last witness, «l’ultimo testimone», diretto da un altro regista polacco, Piotr Szkopiak. La trama è presto detta. Nel 1947 a Bristol in Inghilterra sono acquartierati i polacchi che hanno combattuto al fianco degli Alleati. La guerra è finita e chi vuole, di loro, può tornare in patria. Ma in patria adesso ci sono i russi, e pochi scelgono l’opzione. Non solo. Tra loro cominciano degli strani suicidi, uno dietro l’altro. Un giornalista vuol vederci chiaro e comincia a indagare.

Si imbatte così nell'«ultimo testimone» della strage di Katyn. Il quale, anche lui, viene «suicidato» e il suo diario è fatto sparire. Da chi? Dall’intelligence britannica, che deve vigilare sugli equilibri di Yalta e, perciò, dare ai nazisti ormai estinti la colpa di ogni nefandezza in tempo di  guerra. Il giornalista scopre che anche il suo giornale è stato subornato dai servizi, e che il suo reportage non vedrà mai la luce su nessun’altra testata inglese. Per soprammercato, anche lui cade vittima di una misteriosa aggressione. Così, la verità ufficiale rimase sepolta per sempre, e solo col crollo dei muri si poté dire quel che tutti sapevano da un pezzo.