Rosy Bindi difende quella "scelta religiosa" sconfessata dal Papa
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Dopo l'intervento di Giorgia Meloni al Meeting di Rimini, l'ex esponente del Pd e Paola Binetti intervengono per difendere quella laicità dei cattolici appena condannata da Leone XIV. Basta guardare alla storia dell'Azione Cattolica per vedere dove porta la "scelta religiosa".

Proprio nei giorni del discorso di Leone XIV sulla coerenza dei cattolici in politica, Rosy Bindi e Paola Binetti entrano in scena per parlare anche loro di unità e coerenza dei cattolici.
L’occasione è data dal superdiscusso discorso del premier Giorgia Meloni al Meeting di Rimini, quello della standing ovation e delle infinite polemiche successive. A Rosy Bindi non è piaciuto il passaggio che ricordava come, agli inizi della propria storia, Comunione e Liberazione si fosse impegnata per una presenza cattolica nella società capace di un giudizio derivato da una fede cristiana di popolo mentre nel frattempo altri cattolici seguivano la strada della scelta religiosa. Ecco il passaggio per intero: «Voi, che siete rimasti fedeli al carisma del vostro fondatore, non avete mai disprezzato la politica. Anzi. Non vi siete rinchiusi nelle sacrestie nelle quali avrebbero voluto confinarvi, ma vi siete sempre “sporcati le mani”. Declinando nella realtà quella “scelta religiosa” alla quale mezzo secolo fa altri volevano ridurre il mondo cattolico italiano, e che San Giovanni Paolo II ha ribaltato, quando ha descritto la coerenza, nella distinzione degli ambiti, tra fede, cultura e impegno politico».
Secondo Meloni ci sono state “due” scelte religiose, una che motivava una coerenza tra fede e politica e un’altra che giustificava una incoerenza. Se andassimo a vedere le singole persone e i singoli fatti, di incoerenze ne troveremmo da ambedue le parti, ma l’intervento intendeva segnare due visioni del rapporto tra la fede e la politica.
Rosy Bindi non accetta questa distinzione della Meloni. Capisce subito che si parla della “scelta religiosa” dell’Azione Cattolica che nel 1969 cambiava i propri statuti sotto la guida di Bachelet e precisa: «Dando vita alla “scelta religiosa”, [l’Azione Cattolica] intese abbandonare la stagione del “collateralismo” con la politica attiva, con la Democrazia Cristiana … per affermare nell’associazione il primato della Parola e dell’Eucarestia, della formazione, del servizio alla Chiesa, dell’evangelizzazione e promozione umana. In tempi storici di grande cambiamento non fece una scelta intimistica, non si rifugiò nelle sacrestie, ma con la Chiesa del Concilio volle riscoprire la centralità del Vangelo, da cui tutto il resto prende significato».
Il cambiamento dell’Azione Cattolica passato alla storia come “scelta religiosa” non voleva dire il ritiro nelle sacrestie a non fare nulla - su questo la Bindi ha ragione - ma significava sottrarsi ad una continuità coerente tra religione e politica, ritraendosi nella religione per lasciare la politica alle sole coscienze, cosa che la Bindi chiama «responsabilità personale e civile» ma che nei fatti è relativismo dei comportamenti politici dei cattolici. Dietro il rifiuto del collateralismo con la DC, l’Azione Cattolica pretendeva l’assoluta autonomia del laico cattolico in politica, senza più chiamare in causa pubblicamente il suo essere cattolico, voleva l’invisibilità della religione in politica, desiderava la libertà completa per nuovi collateralismi, anche molto spericolati, purché fossero scelti in coerenza con la coscienza personale.
Il vero suggeritore della “scelta religiosa” era stato Jacques Maritain che sciolse a suo modo il nodo del rapporto tra “tesi” e “ipotesi” spiritualizzando la tesi, come scrive oggi l’abbé Claude Barthe. La tesi è data dai principi della fede e della morale, le ipotesi sono i loro adattamenti relativi alle situazioni. Maritain ha spiritualizzato la tesi, negando che essa avesse esigenze dirette di coerenza politica, e ha dato mano libera all’ipotesi pienamente laica. Della tesi ci si doveva nutrire, ma nella vita pubblica si decideva in autonomia di coscienza. Divenne così possibile e normale che il politico cattolico vada alla Messa alla mattina e al pomeriggio voti per una legge che riconosce il diritto ad abortire. L’Azione cattolica è stata una grande fucina di coerenze di questo genere.
La scelta religiosa dall’Azione cattolica era l’adesione all’aggiornamento voluto dal conciliarismo che in quegli anni aveva stordito molte menti. Questo conciliarismo parlava di dissenso cattolico e di socialismo come avrebbero fatto le Acli l’anno successivo, spingeva molti a candidarsi nel Partito Comunista e si preparava a mobilitare i cattolici in vista del referendum sul divorzio nel 1974, nel mentre che, sotto la spinta di padre Sorge e di mons. Maverna, si stava organizzando a Roma l’infausto primo convegno ecclesiale su “Evangelizzazione e promozione umana”. La scelta religiosa aggiornava l’Azione Cattolica all’aggiornamento di quei tempi.
Dopo queste brevi osservazioni, nasce la domanda del perché Rosy Bindi abbia intimato a Giorgia Meloni di non spargere «il seme della divisione tra i cattolici», quando dalla scelta religiosa dell’Azione Cattolica in poi si è rivendicata una completa libertà di scelta politica, anche se di fatto orientata esclusivamente a sinistra. In occasione del recente dibattito sul suicidio assistito non ho visto chiari interventi contrari da parte di esponenti dell’Azione Cattolica o di politici da quel mondo provenienti, nonostante il loro “primato della Parola, dell’Eucarestia, della formazione eccetera…”.
Una risposta forse è venuta da Paola Binetti, che in una intervista al Corriere della Sera ha ricordato di essere stata fischiata al Meeting del 2006 per aver sostenuto nel suo intervento la fattibilità dei Dico, il riconoscimento delle coppie di fatto proposto proprio dalla Bindi. L’anno dopo una Nota dei vescovi italiani condannava quella legge e diceva ai cattolici di non sostenerla, dando ragione ai fischi del Meeting e torto al possibilismo della Binetti.
Forse, allora, la divisione paventata è quella che mette in discussione la divisione. Pretendere la coerenza è un fatto divisivo. Ma non era proprio questo che in quelle stesse ore Leone XIV stava negando?
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