Roche dimentica il Vaticano II
Gli innumerevoli risvolti dell'ultimo provvedimento sul rito antico chiamano in causa persino il Vaticano II, che appare contraddetto dal recente rescritto.
Sembrano infiniti, e non solo liturgici, i risvolti del Rescriptum ex audientia Sanctissimi del card. Arthur Roche in materia di rito tradizionale e (soprattutto) sulla possibilità dei vescovi di decidere al riguardo.
The Pillar nota un curioso contrasto tra il Vaticano II e Roche, che pure vuole imporre a tutti i costi la sola liturgia riformata proprio in nome di quel concilio. Si è soliti infatti esaltare la rinnovata considerazione del ruolo dei vescovi e al contempo condannare il precedente "accentramento" vaticano, che avrebbe ridotto gli ordinari locali a meri delegati della curia romana. Una situazione non dissimile da quanto sancito dal rescritto.
A ben vedere, c'è un contrasto persino con la Praedicate Evangelium dello stesso papa Francesco, che parla di «sana decentralizzazione», lasciando «alla competenza dei Pastori la facoltà di risolvere nell’esercizio del "loro proprio compito di maestri" e di pastori le questioni che conoscono bene» (II, 2). E chi conoscerebbe meglio la situazione delle comunità locali di rito antico: il loro vescovo o il dicastero vaticano?
«I testi del Vaticano II erano stati intesi nei pontificati precedenti come finalizzati al decentramento dell'autorità di governo ecclesiastico - alla luce della teologia dell'episcopato della Chiesa – dopo secoli di autorità concentrata a Roma – e come un complemento essenziale all'enfasi sul papato espressa in Vaticano I», scrive The Pillar. La situazione appare ora ribaltata: niente potere per decidere sul rito, ma laissez faire verso controversi "cammini sinodali". Decentramento nella dottrina e accentramento nel governo.