L'UDIENZA DEL PAPA
Roberto Bellarmino, maestro di apologetica
Ricchezza e povertà, salute e malattia, sono buone se con conducono a Dio, cattive se ce ne allontanano. Questa la saggezza che ci indica san Roberto Bellarmino.
Attualità
23_02_2011
Proseguendo nelle sue catechesi sui santi vissuti nel XVI secolo, «al tempo della dolorosa scissione della cristianità occidentale, quando una grave crisi politica e religiosa provocò il distacco di intere Nazioni dalla Sede Apostolica» con la frattura protestante, Benedetto XVI ha presentato nell'udienza del 23 febbraio la figura del grande teologo e apologeta san Roberto Bellarmino (1542-1621).
Pochi ricordano - a causa della sua lunga permanenza a Roma - che il santo era nato a Montepulciano ed era nipote, per parte di madre, del Papa Marcello II (1501-1555). Gesuita formatosi a Roma, Padova e Lovanio, fu dapprima professore in quest'ultima università prima di essere chiamato a Roma per tenere un corso di apologetica da cui nacquero, ricorda Benedetto XVI, le «Controversiae», «opera divenuta subito celebre per la chiarezza e la ricchezza di contenuti e per il taglio prevalentemente storico».
L'interesse per l'apologetica non era casuale. «Si era concluso da poco il Concilio di Trento e per la Chiesa Cattolica era necessario rinsaldare e confermare la propria identità anche rispetto alla Riforma protestante». Con Bellarmino l'apologetica acquistò, o meglio riacquistò, dignità di disciplina universitaria, ma il santo sapeva che doveva rivolgersi anche alle persone più semplici: agli anni 1597 – 1598 «risale il suo catechismo, "Dottrina cristiana breve", che fu il suo lavoro più popolare».
A riprova dell'importanza che la Chiesa dell'epoca attribuiva all'apologetica, nel 1599 fu creato cardinale e nominato arcivescovo di Capua. Mantenne la sede diocesana, dove peraltro si distinse per il grande zelo, per soli tre anni. Roma aveva bisogno di lui come guida teologica della Curia e della Chiesa, ruolo incontrastato che svolse per quasi vent'anni, occupando insieme molti e prestigiosi incarichi vaticani.
L'apologetica, ha spiegato il Papa, deve fare fronte in ogni tempo a nuove sfide, ma alcune rimangono sempre uguali. Per questo, gli insegnamenti apologetici di Bellarmino non sono affatto passati di moda. «Le sue "Controversiae" costituirono un punto di riferimento, ancora valido, per l’ecclesiologia cattolica sulle questioni circa la Rivelazione, la natura della Chiesa, i Sacramenti e l’antropologia teologica. In esse appare accentuato l’aspetto istituzionale della Chiesa, a motivo degli errori che allora circolavano su tali questioni. Tuttavia Bellarmino chiarì anche gli aspetti invisibili della Chiesa come Corpo Mistico e li illustrò con l’analogia del corpo e dell’anima, al fine di descrivere il rapporto tra le ricchezze interiori della Chiesa e gli aspetti esteriori che la rendono percepibile. In questa monumentale opera, che tenta di sistematizzare le varie controversie teologiche dell’epoca, egli evita ogni taglio polemico e aggressivo nei confronti delle idee della Riforma, ma utilizzando gli argomenti della ragione e della Tradizione della Chiesa, illustra in modo chiaro ed efficace la dottrina cattolica».
L'apologetica, però, ha bisogno anzitutto di un metodo. La più importante eredità del santo, ha detto il Papa, «sta nel modo in cui concepì il suo lavoro. I gravosi uffici di governo non gli impedirono, infatti, di tendere quotidianamente verso la santità con la fedeltà alle esigenze del proprio stato di religioso, sacerdote e vescovo. Da questa fedeltà discende il suo impegno nella predicazione. Essendo, come sacerdote e vescovo, innanzitutto un pastore d’anime, sentì il dovere di predicare assiduamente. Sono centinaia i sermones – le omelie – tenuti nelle Fiandre, a Roma, a Napoli e a Capua in occasione delle celebrazioni liturgiche. Non meno abbondanti sono le sue expositiones e le explanationes ai parroci, alle religiose, agli studenti del Collegio Romano, che hanno spesso per oggetto la sacra Scrittura, specialmente le Lettere di san Paolo. La sua predicazione e le sue catechesi presentano quel medesimo carattere di essenzialità che aveva appreso dall’educazione ignaziana, tutta rivolta a concentrare le forze dell’anima sul Signore Gesù intensamente conosciuto, amato e imitato».
L'apologeta può talora dover adottare toni forti, ma l'essenziale è che la sua opera sia animata dalla vita interiore e dalla preghiera. Il santo offre dunque anche «un modello di preghiera, anima di ogni attività». Il Pontefice ha richiamato un'opera non molto conosciuta di Bellarmino, «De ascensione mentis in Deum »- «Elevazione della mente a Dio» -, dove leggiamo: «O anima, il tuo esemplare è Dio, bellezza infinita, luce senza ombre, splendore che supera quello della luna e del sole. Alza gli occhi a Dio nel quale si trovano gli archetipi di tutte le cose, e dal quale, come da una fonte di infinita fecondità, deriva questa varietà quasi infinita delle cose. Pertanto devi concludere: chi trova Dio trova ogni cosa, chi perde Dio perde ogni cosa».
«In questo testo - commenta Benedetto XVI - si sente l’eco della celebre contemplatio ad amorem obtineundum – contemplazione per ottenere l’amore - degli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola [1491-1556]. Il Bellarmino, che vive nella fastosa e spesso malsana società dell’ultimo Cinquecento e del primo Seicento, da questa contemplazione ricava applicazioni pratiche e vi proietta la situazione della Chiesa del suo tempo con vivace afflato pastorale».
L'eco degli «Esercizi» ignaziani, aggiunge il Papa, si ritrova in altre importanti opere spirituali del santo. «Nel libro "De arte bene moriendi" – l’arte di morire bene - ad esempio, indica come norma sicura del buon vivere, e anche del buon morire, il meditare spesso e seriamente che si dovrà rendere conto a Dio delle proprie azioni e del proprio modo di vivere, e cercare di non accumulare ricchezze in questa terra, ma di vivere semplicemente e con carità in modo da accumulare beni in Cielo. Nel libro "De gemitu columbae" - Il gemito della colomba, dove la colomba rappresenta la Chiesa - richiama con forza clero e fedeli tutti ad una riforma personale e concreta della propria vita seguendo quello che insegnano la Scrittura e i Santi». A chi parla di riforme, Bellarmino «insegna con grande chiarezza e con l’esempio della propria vita che non può esserci vera riforma della Chiesa se prima non c’è la nostra personale riforma e la conversione del nostro cuore».
Non si potrebbe insistere troppo, sottolinea il Papa, sull'importanza degli «Esercizi» ignaziani per l'apologetica. «Agli Esercizi spirituali di sant’Ignazio, il Bellarmino attingeva consigli per comunicare in modo profondo, anche ai più semplici, le bellezze dei misteri della fede. Egli scrive: “Se hai saggezza, comprendi che sei creato per la gloria di Dio e per la tua eterna salvezza. Questo è il tuo fine, questo il centro della tua anima, questo il tesoro del tuo cuore. Perciò stima vero bene per te ciò che ti conduce al tuo fine, vero male ciò che te lo fa mancare. Avvenimenti prosperi o avversi, ricchezze e povertà, salute e malattia, onori e oltraggi, vita e morte, il sapiente non deve né cercarli, né fuggirli per se stesso. Ma sono buoni e desiderabili solo se contribuiscono alla gloria di Dio e alla tua felicità eterna, sono cattivi e da fuggire se la ostacolano” (De ascensione mentis in Deum, grad. 1)».
Cose d'altri tempi? No, assicura Benedetto XVI. «Queste, ovviamente, non sono parole passate di moda, ma parole da meditare a lungo oggi da noi per orientare il nostro cammino su questa terra. Ci ricordano che il fine della nostra vita è il Signore, il Dio che si è rivelato in Gesù Cristo, nel quale Egli continua a chiamarci e a prometterci la comunione con Lui. Ci ricordano l’importanza di confidare nel Signore, di spenderci in una vita fedele al Vangelo, di accettare e illuminare con la fede e con la preghiera ogni circostanza e ogni azione della nostra vita, sempre protesi all’unione con Lui». Nulla di diverso è la vera apologetica.
Pochi ricordano - a causa della sua lunga permanenza a Roma - che il santo era nato a Montepulciano ed era nipote, per parte di madre, del Papa Marcello II (1501-1555). Gesuita formatosi a Roma, Padova e Lovanio, fu dapprima professore in quest'ultima università prima di essere chiamato a Roma per tenere un corso di apologetica da cui nacquero, ricorda Benedetto XVI, le «Controversiae», «opera divenuta subito celebre per la chiarezza e la ricchezza di contenuti e per il taglio prevalentemente storico».
L'interesse per l'apologetica non era casuale. «Si era concluso da poco il Concilio di Trento e per la Chiesa Cattolica era necessario rinsaldare e confermare la propria identità anche rispetto alla Riforma protestante». Con Bellarmino l'apologetica acquistò, o meglio riacquistò, dignità di disciplina universitaria, ma il santo sapeva che doveva rivolgersi anche alle persone più semplici: agli anni 1597 – 1598 «risale il suo catechismo, "Dottrina cristiana breve", che fu il suo lavoro più popolare».
A riprova dell'importanza che la Chiesa dell'epoca attribuiva all'apologetica, nel 1599 fu creato cardinale e nominato arcivescovo di Capua. Mantenne la sede diocesana, dove peraltro si distinse per il grande zelo, per soli tre anni. Roma aveva bisogno di lui come guida teologica della Curia e della Chiesa, ruolo incontrastato che svolse per quasi vent'anni, occupando insieme molti e prestigiosi incarichi vaticani.
L'apologetica, ha spiegato il Papa, deve fare fronte in ogni tempo a nuove sfide, ma alcune rimangono sempre uguali. Per questo, gli insegnamenti apologetici di Bellarmino non sono affatto passati di moda. «Le sue "Controversiae" costituirono un punto di riferimento, ancora valido, per l’ecclesiologia cattolica sulle questioni circa la Rivelazione, la natura della Chiesa, i Sacramenti e l’antropologia teologica. In esse appare accentuato l’aspetto istituzionale della Chiesa, a motivo degli errori che allora circolavano su tali questioni. Tuttavia Bellarmino chiarì anche gli aspetti invisibili della Chiesa come Corpo Mistico e li illustrò con l’analogia del corpo e dell’anima, al fine di descrivere il rapporto tra le ricchezze interiori della Chiesa e gli aspetti esteriori che la rendono percepibile. In questa monumentale opera, che tenta di sistematizzare le varie controversie teologiche dell’epoca, egli evita ogni taglio polemico e aggressivo nei confronti delle idee della Riforma, ma utilizzando gli argomenti della ragione e della Tradizione della Chiesa, illustra in modo chiaro ed efficace la dottrina cattolica».
L'apologetica, però, ha bisogno anzitutto di un metodo. La più importante eredità del santo, ha detto il Papa, «sta nel modo in cui concepì il suo lavoro. I gravosi uffici di governo non gli impedirono, infatti, di tendere quotidianamente verso la santità con la fedeltà alle esigenze del proprio stato di religioso, sacerdote e vescovo. Da questa fedeltà discende il suo impegno nella predicazione. Essendo, come sacerdote e vescovo, innanzitutto un pastore d’anime, sentì il dovere di predicare assiduamente. Sono centinaia i sermones – le omelie – tenuti nelle Fiandre, a Roma, a Napoli e a Capua in occasione delle celebrazioni liturgiche. Non meno abbondanti sono le sue expositiones e le explanationes ai parroci, alle religiose, agli studenti del Collegio Romano, che hanno spesso per oggetto la sacra Scrittura, specialmente le Lettere di san Paolo. La sua predicazione e le sue catechesi presentano quel medesimo carattere di essenzialità che aveva appreso dall’educazione ignaziana, tutta rivolta a concentrare le forze dell’anima sul Signore Gesù intensamente conosciuto, amato e imitato».
L'apologeta può talora dover adottare toni forti, ma l'essenziale è che la sua opera sia animata dalla vita interiore e dalla preghiera. Il santo offre dunque anche «un modello di preghiera, anima di ogni attività». Il Pontefice ha richiamato un'opera non molto conosciuta di Bellarmino, «De ascensione mentis in Deum »- «Elevazione della mente a Dio» -, dove leggiamo: «O anima, il tuo esemplare è Dio, bellezza infinita, luce senza ombre, splendore che supera quello della luna e del sole. Alza gli occhi a Dio nel quale si trovano gli archetipi di tutte le cose, e dal quale, come da una fonte di infinita fecondità, deriva questa varietà quasi infinita delle cose. Pertanto devi concludere: chi trova Dio trova ogni cosa, chi perde Dio perde ogni cosa».
«In questo testo - commenta Benedetto XVI - si sente l’eco della celebre contemplatio ad amorem obtineundum – contemplazione per ottenere l’amore - degli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola [1491-1556]. Il Bellarmino, che vive nella fastosa e spesso malsana società dell’ultimo Cinquecento e del primo Seicento, da questa contemplazione ricava applicazioni pratiche e vi proietta la situazione della Chiesa del suo tempo con vivace afflato pastorale».
L'eco degli «Esercizi» ignaziani, aggiunge il Papa, si ritrova in altre importanti opere spirituali del santo. «Nel libro "De arte bene moriendi" – l’arte di morire bene - ad esempio, indica come norma sicura del buon vivere, e anche del buon morire, il meditare spesso e seriamente che si dovrà rendere conto a Dio delle proprie azioni e del proprio modo di vivere, e cercare di non accumulare ricchezze in questa terra, ma di vivere semplicemente e con carità in modo da accumulare beni in Cielo. Nel libro "De gemitu columbae" - Il gemito della colomba, dove la colomba rappresenta la Chiesa - richiama con forza clero e fedeli tutti ad una riforma personale e concreta della propria vita seguendo quello che insegnano la Scrittura e i Santi». A chi parla di riforme, Bellarmino «insegna con grande chiarezza e con l’esempio della propria vita che non può esserci vera riforma della Chiesa se prima non c’è la nostra personale riforma e la conversione del nostro cuore».
Non si potrebbe insistere troppo, sottolinea il Papa, sull'importanza degli «Esercizi» ignaziani per l'apologetica. «Agli Esercizi spirituali di sant’Ignazio, il Bellarmino attingeva consigli per comunicare in modo profondo, anche ai più semplici, le bellezze dei misteri della fede. Egli scrive: “Se hai saggezza, comprendi che sei creato per la gloria di Dio e per la tua eterna salvezza. Questo è il tuo fine, questo il centro della tua anima, questo il tesoro del tuo cuore. Perciò stima vero bene per te ciò che ti conduce al tuo fine, vero male ciò che te lo fa mancare. Avvenimenti prosperi o avversi, ricchezze e povertà, salute e malattia, onori e oltraggi, vita e morte, il sapiente non deve né cercarli, né fuggirli per se stesso. Ma sono buoni e desiderabili solo se contribuiscono alla gloria di Dio e alla tua felicità eterna, sono cattivi e da fuggire se la ostacolano” (De ascensione mentis in Deum, grad. 1)».
Cose d'altri tempi? No, assicura Benedetto XVI. «Queste, ovviamente, non sono parole passate di moda, ma parole da meditare a lungo oggi da noi per orientare il nostro cammino su questa terra. Ci ricordano che il fine della nostra vita è il Signore, il Dio che si è rivelato in Gesù Cristo, nel quale Egli continua a chiamarci e a prometterci la comunione con Lui. Ci ricordano l’importanza di confidare nel Signore, di spenderci in una vita fedele al Vangelo, di accettare e illuminare con la fede e con la preghiera ogni circostanza e ogni azione della nostra vita, sempre protesi all’unione con Lui». Nulla di diverso è la vera apologetica.