AFRICA
Rivoluzione in Tanzania: un albino in Parlamento
Per la prima volta eletto un albino, condizione che in Africa significa emarginazione, violenza e morte.
Attualità
13_12_2010
Bar’wani infatti è il primo albino ad assumere in Tanzania un’importante carica politica per volontà popolare ed è proprio per questo che rischia la vita. Per capire come mai, bisogna sapere che in Africa chi è albino, oltre a dover affrontare ogni giorno i problemi derivanti dall’assenza congenita del pigmento della melanina nella pelle, negli occhi, nei capelli e nei peli, è condannato a una vita da reietto. Avere un familiare albino è visto come uno stigma. I bambini affetti da albinismo spesso non vengono neanche mandati a scuola e in famiglia vivono ai margini, a stento tollerati. Da grandi subiscono discriminazioni di ogni genere, a partire dalle opportunità di lavoro, e quasi sempre questo li costringe a vivere di carità e di espedienti, in solitudine.
È un comportamento impietoso che ha radici profonde. Le società tradizionali africane considerano le anomalie con preoccupazione e diffidenza, temendo che ne derivino disgrazie o giudicandole segno di colpe commesse da chi ne è portatore o dalla sua famiglia.
Nel caso degli albini per di più è diffusa la convinzione che proprio la loro vistosa e irrimediabile diversità rappresenti una risorsa, se messa a disposizione della stregoneria, un’istituzione cardine delle società tribali. Si crede che i loro organi e parti del loro corpo, trasformati in amuleti e pozioni, garantiscano a chi ne è in possesso successo nel lavoro, ricchezza, amore, salute, la realizzazione di ogni desiderio. Perciò, rapiti da intermediari o venduti dalle famiglie, vengono uccisi e consegnati agli stregoni che provvedono a smembrarli e a scuoiarli per realizzare le loro magie. Il traffico non risparmia i bambini ed è addirittura transnazionale. Si contano, ad esempio, numerosi casi di albini rapiti in Tanzania e usati in Uganda oppure catturati in Kenya per portarli in Tanzania.
In quest’ultimo paese il fenomeno è diffuso in maniera estesa, i casi di albini uccisi si contano a centinaia e da alcuni anni il governo tenta di porvi rimedio. La polizia ha avuto ordine di dare la caccia agli stregoni che ne commissionano l’omicidio, è nata un’associazione per difenderli e migliorarne le condizioni di vita, la Società Albina del Tanzania, e nel 2008 il presidente della repubblica, Jakaya Kikwete, ha nominato parlamentare un albino, Al-Shaymaa Kwegyir.
Con questo gesto è stato lanciato un duplice messaggio: la condanna ufficiale del disprezzo e della paura nei confronti degli albini e l’assicurazione di un impegno governativo a garantire loro una vita sicura e pari opportunità. Ma nessuno ignora che in Africa il traguardo dei diritti fondamentali, nella loro formulazione elaborata dalla civiltà cristiana occidentale, è ancora lontano. Tra la popolazione il riconoscimento del valore di ogni creatura umana e dell’esistenza di diritti inerenti alla condizione umana, quindi universali e inalienabili, procede a passi lenti, tuttora contrastato da istituzioni tribali che attribuiscono valore supremo alla comunità, non alla persona; fanno dipendere i diritti di ciascuno dal suo status, per lo più determinato da fattori ascritti quali il sesso e l’anzianità di nascita; e impongono quindi come giusti e doverosi, condizione necessaria di buon vivere, comportamenti altrove ritenuti discriminazioni e violazioni dei diritti umani.
Perciò l’elezione di Salum Khalfani Bar’wani – scelto superando pregiudizi e paure – avrebbe meritato maggiore risonanza: perché indica un cambiamento culturale radicale in favore di una diversa concezione dell’uomo e dei rapporti sociali a cui si oppone chi ne sta minacciando la vita.