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AFRICA

Rivoluzione in Tanzania: un albino in Parlamento

Per la prima volta eletto un albino, condizione che in Africa significa emarginazione, violenza e morte.

Attualità 13_12_2010
albino africa In Tanzania un parlamentare neo-eletto è in pericolo: secondo la polizia, uomini sospetti ne seguono i movimenti e si teme per la sua vita. Siccome succede di continuo in Africa che lo scontro politico degeneri in violenza – e i risultati elettorali, contestati, ne sono spesso la causa – la notizia non è di quelle clamorose, che fanno il giro del mondo: ma invece in questo caso dovrebbe, perché la vittoria di Salum Khalfani Bar’wani, candidato alle politiche dello scorso ottobre dal partito di minoranza Fronte Civico Unito per la circoscrizione sudorientale di Lindi, è un risultato di portata storica per il suo paese e forse per l’intero continente.

Bar’wani infatti è il primo albino ad assumere in Tanzania un’importante carica politica per volontà popolare ed è proprio per questo che rischia la vita. Per capire come mai, bisogna sapere che in Africa chi è albino, oltre a dover affrontare ogni giorno i problemi derivanti dall’assenza congenita del pigmento della melanina nella pelle, negli occhi, nei capelli e nei peli, è condannato a una vita da reietto. Avere un familiare albino è visto come uno stigma. I bambini affetti da albinismo spesso non vengono neanche mandati a scuola e in famiglia vivono ai margini, a stento tollerati. Da grandi subiscono discriminazioni di ogni genere, a partire dalle opportunità di lavoro, e quasi sempre questo li costringe a vivere di carità e di espedienti, in solitudine.

È un comportamento impietoso che ha radici profonde. Le società tradizionali africane considerano le anomalie con preoccupazione e diffidenza, temendo che ne derivino disgrazie o giudicandole segno di colpe commesse da chi ne è portatore o dalla sua famiglia.
Nel caso degli albini per di più è diffusa la convinzione che proprio la loro vistosa e irrimediabile diversità rappresenti una risorsa, se messa a disposizione della stregoneria, un’istituzione cardine delle società tribali. Si crede che i loro organi e parti del loro corpo, trasformati in amuleti e pozioni, garantiscano a chi ne è in possesso successo nel lavoro, ricchezza, amore, salute, la realizzazione di ogni desiderio. Perciò, rapiti da intermediari o venduti dalle famiglie, vengono uccisi e consegnati agli stregoni che provvedono a smembrarli e a scuoiarli per realizzare le loro magie. Il traffico non risparmia i bambini ed è addirittura transnazionale. Si contano, ad esempio, numerosi casi di albini rapiti in Tanzania e usati in Uganda oppure catturati in Kenya per portarli in Tanzania.

In quest’ultimo paese il fenomeno è diffuso in maniera estesa, i casi di albini uccisi si contano a centinaia e da alcuni anni il governo tenta di porvi rimedio. La polizia ha avuto ordine di dare la caccia agli stregoni che ne commissionano l’omicidio, è nata un’associazione per difenderli e migliorarne le condizioni di vita, la Società Albina del Tanzania, e nel 2008 il presidente della repubblica, Jakaya Kikwete, ha nominato parlamentare un albino, Al-Shaymaa Kwegyir.

Con questo gesto è stato lanciato un duplice messaggio: la condanna ufficiale del disprezzo e della paura nei confronti degli albini e l’assicurazione di un impegno governativo a garantire loro una vita sicura e pari opportunità. Ma nessuno ignora che in Africa il traguardo dei diritti fondamentali, nella loro formulazione elaborata dalla civiltà cristiana occidentale, è ancora lontano. Tra la popolazione il riconoscimento del valore di ogni creatura umana e dell’esistenza di diritti inerenti alla condizione umana, quindi universali e inalienabili, procede a passi lenti, tuttora contrastato da istituzioni tribali che attribuiscono valore supremo alla comunità, non alla persona; fanno dipendere i diritti di ciascuno dal suo status, per lo più determinato da fattori ascritti quali il sesso e l’anzianità di nascita; e impongono quindi come giusti e doverosi, condizione necessaria di buon vivere, comportamenti altrove ritenuti discriminazioni e violazioni dei diritti umani.

Perciò l’elezione di Salum Khalfani Bar’wani – scelto superando pregiudizi e paure – avrebbe meritato maggiore risonanza: perché indica un cambiamento culturale radicale in favore di una diversa concezione dell’uomo e dei rapporti sociali a cui si oppone chi ne sta minacciando la vita.