Ristoratori, artigiani, autonomi, i nuovi poveri del dopo-Covid
Durante il week-end sono arrivate cifre davvero da brivido sulla crisi economica innescata dal lockdown. Un’ecatombe delle attività produttive e commerciali e l’incremento delle nuove povertà. Crolla il lavoro autonomo, aumenta il numero di nuovi poveri. Particolarmente colpito è il settore della ristorazione. La Lombardia, regione più colpita dall'epidemia, è però la prima a rialzarsi
La contabilità quotidiana dei nuovi contagi da Covid-19 sta facendo passare in secondo piano altre contabilità, ugualmente allarmanti, che riguardano i crescenti disagi psichici delle persone, il moltiplicarsi di tardive diagnosi tumorali e l’andamento dell’economia.
Su quest’ultimo aspetto, durante il week-end sono arrivate cifre davvero da brivido. Fondazioni, associazioni di categoria, istituti di ricerca, enti di beneficenza hanno documentato l’ecatombe delle attività produttive e commerciali e l’incremento delle nuove povertà. Per mesi il governo si è concentrato sui sussidi già varati prima del Covid, a cominciare dal reddito di cittadinanza, distribuito a pioggia e senza un criterio. Quasi nessuno dei beneficiari ha trovato un lavoro e quindi quell’idea si è rivelata fallimentare, essendosi convertita nell’ennesimo salvagente improduttivo e meramente assistenzialistico. Nel frattempo, però, gli autonomi sono stati dimenticati, tranne che per il contestato e largamente insufficiente bonus dei 600 euro, sul quale l’Inps ha dimostrato tutta la sua inefficienza.
Infatti, è sul lavoro autonomo che la crisi, causata dalla pandemia, ha fatto sentire in modo immediato i propri effetti. Già il default del 2008 aveva fortemente ridimensionato quel comparto, che ora registra una devastante agonia. Su 841mila posti di lavoro persi tra il secondo trimestre 2020 e lo stesso periodo dell’anno precedente, ben 219mila hanno riguardato il lavoro indipendente, che è passato da 5,4 a 5,1 milioni di occupati, con un calo del 4,1%. È quanto rileva la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro nel focus “La crisi senza fine del lavoro autonomo”, sulla base dei dati pubblicati recentemente dall’Istat. Nonostante le misure messe in campo negli ultimi mesi dal Governo per sostenere il lavoro in proprio – come il ricordato bonus autonomi – il blocco delle attività ha inciso fortemente sui redditi familiari: il 79% dei liberi professionisti ha subito una diminuzione delle entrate tra aprile e maggio, superiore al 50% del reddito per il 35,8% di essi. A frenare la ripresa l’adozione, tra il 2010 e il 2019, di politiche volte quasi sempre a sostenere solo il lavoro dipendente, che al sud ha assicurato il consenso elettorale al Movimento Cinque Stelle, forza politica maggioritaria in Parlamento.
Ci sono migliaia e migliaia di lavoratori autonomi che la ripresa non l’hanno ancora vissuta e che da mesi non emettono una fattura, pur dovendo comunque continuare a pagare i costi fissi come l’affitto degli uffici e lo stipendio dei lavoratori dipendenti, nonché le tasse, in molti casi solo posticipate. Il Pil, d’altronde, è colato a picco. L’ufficio studi della Cgia di Mestre valuta che, a causa degli effetti negativi del Covid, rischiamo di bruciare 160 miliardi di Prodotto interno lordo, il doppio di quanto avvenuto nel 2009, a seguito della crisi finanziaria più grave degli ultimi decenni. Secondo l’ufficio studi di Confcommercio, il calo del Pil su base tendenziale annua è del 5,1%.
Tra i settori più colpiti c’è quello della ristorazione, che produce 46 miliardi di valore aggiunto ed è uno dei fiori all’occhiello del Made in Italy. Nel 2020, però, dovrebbe perdere circa 26 miliardi di fatturato. Inoltre, in caso di nuovo lockdown, 40mila ristoranti e pizzerie e 15mila bar rischiano la chiusura. E la beffa è che molti di essi hanno già investito ingenti somme per mettersi in regola con nuovi impianti di aerazione, tavolini della misura di un metro quadrato per assicurare il rispetto delle norme di distanziamento, sistematici interventi di sanificazione degli ambienti, allestimento di spazi all’aperto con possibilità di riscaldamento anche d’inverno, adeguamento alle norme igieniche a tutela dei dipendenti e dei clienti.
La Lombardia, che pure è una delle regioni più colpite dal Coronavirus, si è rialzata meglio, prima e più di altre, e la giunta Fontana ha varato un’ordinanza che preserva quelle attività, pur potenziando i controlli sul rispetto delle misure di sicurezza. Tra le attività “risparmiate” dalla scure del Pirellone ci sono quelle artigiane. E’ scesa in campo sul punto anche l’Unione artigiani di Milano e Monza Brianza, che rappresenta circa 14mila imprese, per minacciare azioni legali a tutela della categoria in caso di serrate e chiusure imposte dal Governo mediante dpcm.
D’altronde le nuove povertà incalzano e devastano la società. I nuovi poveri che si rivolgono alla Caritas crescono ogni giorno. Tra maggio e settembre sono passati dal 31% dell’anno scorso al 45%. Quasi una persona su due che si rivolge alla Caritas lo fa per la prima volta. L’identikit del bisognoso sta mutando. Ora ci sono anche molti padri separati, rimasti senza lavoro o con un fatturato da lavoratori autonomi fortemente abbassato a causa del Covid, e mamme con uno o due figli prive di reddito e costrette ad accudire in famiglia i figli, anche a causa della didattica a distanza e delle altre restrizioni imposte dalla pandemia.
Tutti questi dati disegnano una polveriera pronta ad esplodere, se la fase della convivenza con il virus non si trasformerà in un’occasione per rilanciare meritocrazia, slancio imprenditoriale, capacità manageriali, impegno dei singoli e per riaffermare i limiti della presenza dello Stato in economia in luogo di uno statalismo centralista che rischia seriamente di soffocare la creatività delle persone e di penalizzare le specificità dei territori.