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Riscopriamo Bontempelli, cantore della meraviglia

Esponente di spicco del Realismo magico, Massimo Bontempelli si è cimentato anche in romanzi con un approccio apparentemente più tradizionale. Ma con una trama capace di destare sempre la meraviglia del pubblico, come in due opere ripubblicate di recente (“Figlio di due madri” e “Gente nel tempo”).

Cultura 31_03_2022

Autore tra i più innovativi del Novecento italiano, Massimo Bontempelli (Como, 1878 - Roma, 1960) è stato un esponente di spicco del Realismo magico. Geniale nei suoi racconti fulminanti per il gusto del fantastico, grazie all’elemento incantato straniante (con la raccolta L’amante fedele vinse nel 1953 il Premio Strega), si è cimentato anche in romanzi apparentemente con un intreccio più tradizionale. In essi ha voluto però tenere desta la meraviglia del pubblico, inserendo un fattore sorpresa che mantenesse in sospeso sia i personaggi che i lettori nell’inverosimile e nel misterioso. In particolare nelle due opere recentemente ripubblicate dalla casa editrice Utopia, Il figlio di due madri (uscito la prima volta nel 1929) e Gente nel tempo (uscito nel 1937), sono le figure femminili che riescono a creare emozioni intense, anche estreme, di sofferenza, di stupore, di meraviglia, scaturite di fronte al mistero.

Del primo romanzo sono protagoniste due madri straordinarie, figure a cui guardare con incanto e affetto per il dramma improvviso e incredibile che sono costrette ad affrontare: la perdita di un figlio. Poco contano i padri, in un caso scomparso, nell’altro rappresentante cinico di quella classe borghese che considera il figlio come elemento di possesso, che appartiene al patrimonio di ogni famiglia benestante. Al centro del dramma c’è il bambino conteso, Mario, che alle soglie del suo settimo compleanno, dopo una passeggiata al parco, vive un momento di sospensione dalla realtà, da cui si risveglia con il desiderio di conoscere la sua vera mamma, Luciana. Improvvisamente non riconosce più quella che lo ha cresciuto per sette anni, Arianna, la madre premurosa e gentile con cui ha vissuto finora. Chiede perciò ad Arianna di accompagnarlo nel quartiere povero dove abita Luciana e pretende anche di essere chiamato Ramiro. Arianna, proprio perché ama il suo bambino così imprevedibilmente determinato, lo asseconda e scopre che l’altra mamma ha perso un bambino proprio sette anni prima… e per di più tutti nel quartiere conoscono l’infelice storia della tragica malattia di Ramiro. Al di là delle incredibili coincidenze e delle vicende dalle sfumature surreali, ciò che colpisce nella storia narrata con abile realismo è il rapporto tra le due madri e l’amore sincero e autentico per il loro bambino, nei confronti del quale sono costrette a superare progressivamente la tentazione del possesso.

Nei nostri tempi di maternità surrogate e di implacabile pretesa del figlio a tutti i costi e in qualunque condizione, l’incredibile e paradossale storia raccontata da Bontempelli ci costringe a riflettere sulla figura della madre e sul dolore straziante della perdita di un figlio, sia che il destino ce lo sottragga con la morte, sia che lui stesso ci voglia lasciare. Siamo così condotti ad avere uno sguardo più profondo sulla relazione madre-figlio e sull’importanza del rispetto del destino dell’altro, che nessuno di noi può mai pienamente controllare. Del resto Bontempelli non è l’unico autore che ci immerga nel complesso groviglio dei legami familiari. Negli stessi anni Luigi Pirandello scriveva per smascherare le finzioni della società borghese, mostrando per esempio ne La vita che ti diedi (tragedia in tre atti del 1923) la potenza dell’amore materno che si nutre del ricordo, capace di tenere vivo anche chi è lontano. Le madri sono forse le più capaci fra tutti di guardare con rispetto al destino dell’altro, proprio perché per esse l’enigma di ciò che accade misteriosamente nel loro grembo diventa scuola di vita, di accettazione, di obbedienza.

Ma non tutte le donne hanno la capacità e la disponibilità ad accogliere ciò che il destino riserva. Nel secondo romanzo, Gente nel tempo, Bontempelli ce lo dimostra. Ci racconta infatti la storia della famiglia Medici, che si snoda dalla morte della dispotica capostipite, chiamata “la Gran Vecchia”, che ha lanciato una minaccia ai suoi eredi: “Del resto nessuno di voi morirà vecchio”. Un‘ipotesi che sembra essere confermata dalla scomparsa improvvisa, uno dopo l’altro, dei familiari, al punto di condizionare l’aspettativa di vita delle due giovani protagoniste, le sorelle Nora e Dirce. Sorgono in loro interrogativi e incertezze che si trasformano in angoscia per il tempo che scorre inesorabile verso un oscuro prossimo destino. Le due donne, non prive di speranza, sole e uniche superstiti della grande famiglia, vivono con sofferenza e timore il lugubre, regolare ritmo di morte che condanna i loro cari, quasi fosse una legge inappellabile. La loro diventa un’attesa spasmodica della fine inevitabile, che a turno colpisce tutti e prima o poi riguarderà anche le due sorelle. Ma che l’esistenza terrena abbia un termine per ogni essere umano è destino certo; tuttavia il momento del congedo finale dovrebbe rimanere invece per tutti un mistero.

Ciò che ci permette di affrontare l’esistenza con coraggio è proprio l’imprevedibilità della morte. “Non importa morire, importa non sapere quando”. E invece nel romanzo dello scrittore comasco la cadenza della scomparsa dei membri della sfortunata famiglia è terribilmente regolare e inesorabile. Si apre così una riflessione sul destino nella nostra vita, per il quale gli esseri umani non possono essere solo marionette in balia di forze oscure e ostili. Proprio perché Gente nel tempo è ispirato a una storia vera, anche se strutturato come un thriller inquietante, è un romanzo che mette in luce il senso dell’attesa (e anche dell’assurdo), che ha segnato la narrativa e il teatro del Novecento. E colpisce profondamente il lettore di oggi che, illuso dalla presunzione scientista e tecnologica, cerca affannosamente di controllare la vita e la morte. Anche nel terzo millennio, infatti, sono più che mai presenti e incombenti le incertezze e le angosce di tanti uomini che faticano a riconoscere un destino grande nella loro esistenza, che gli donerebbe invece quella pace e vera serenità che desiderano e a cui tanto anelano.