Ripristinata la festività della Pasqua nello stato indiano del Manipur
La decisione di dichiarare lavorativi sabato 30 e domenica 31 privava molti cristiani delle celebrazioni pasquali e aveva sollevato le proteste dei cristiani
In India sabato e domenica sono giorni di riposo per gli uffici pubblici e quindi la Pasqua è sempre un giorno festino. Molti stati della federazione in cui i cristiani sono numerosi, si concede festivo anche il Venerdì Santo. Invece quest’anno le autorità dello stato indiano del Manipur, governato dal Bharatiya Janata Party (Bjp), il partito nazionalista indù che è anche il partito di governo a livello federale, hanno stabilito che il Sabato Santo e il giorno di Pasqua dovevano essere giornate lavorative per tutti i dipendenti degli uffici governativi, incluse le imprese del settore pubblico, gli enti autonomi e le società dipendenti dal governo. La decisione, annunciata il 27 marzo, ha sorpreso e rattristato, giudicata tanto più ingiusta dal momento che i cristiani nel Manipur costituiscono il 41% della popolazione. Sono quindi tanti i dipendenti pubblici, e i loro famigliari, che non avrebbero potuto celebrare la Pasqua seguendo le funzioni religiose, dedicando tempo alla convivialità e scambiando auguri e visite con parenti e vicini come avevano contato di fare. Lo United Christian Forum, un organo ecumenico con sede nella capitale New Delhi, per primo ha protestato e ha chiesto l’immediato ritiro dell’ordinanza, definita “incostituzionale, contraria a tutte le norme le relative ai giorni festivi”. Ancora una volta, ha dichiarato, “il Bjp ha riaffermato la sua posizione anti-cristiana”. Altre proteste sono seguite che hanno sortito l’esito sperato. Il governatore che nell’ordinanza si era detto “lieto di poter dichiarare sabato 30 e domenica 31 marzo come giorni lavorativi” ha revocato la decisione il 28 marzo.
Le comunità cristiane del Manipur hanno particolarmente bisogno di raccogliersi, meditare, pregare durante la settimana santa perché dal maggio 2023 nello Stato sono in corso violenti scontri etnici tra la minoranza indù Meitei e i Kuki che sono in prevalenza cristiani. Proprio per questo emettere un’ordinanza dal carattere divisino, che offende i cristiani equivale – avevano commentato le autorità religiose cristiane “equivale a a gettare sale sulle ferite”. All’origine del conflitto tra Meitei e Kuki, che ha già provocato almeno 219 morti, decine di migliaia di sfollati e la distruzione di quasi 350 edifici religiosi, in gran parte cristiani, c’è la decisione del governo di concedere ai Meitei, che già controllano parlamento e governo, lo status di tribali di cui godono i Kuki che offre benefici e alcune corsie preferenziali nell’accesso a posti di lavoro pubblici, all’istruzione superiore e alle cariche elettive, una norma intesa a promuovere le comunità etniche povere, marginali e svantaggiate. In pratica tutta la popolazione del Manipur godrebbe degli incentivi offerti ai tribali. Lo status di tribali inoltre consentirebbe ai Meitei di acquistare terreni e stabilirsi nelle zone collinari abitate dai Kuki, cosa che finora non è stata loro consentita proprio per tutelare i Kuki.